Regia di Zhang Yimou vedi scheda film
«Crederei solo a un dio che sapesse danzare...». Eh sì, fosse stato un cinefilo il vecchio Nietzsche avrebbe adorato il wuxiapian. Non era del resto in Zarathustra che si augurava la morte violenta dello “spirito di gravità”? Filosofia a parte, La foresta dei pugnali volanti, secondo cappa e spada dell’”impegnato” Zhang Yimou dopo Hero, ripropone i motivi di fascinazione del genere, dalle leggiadre scene d’azione ai furibondi risvolti melodrammatici (qui, una iperbolica storia d’amore a tre). Il tutto, se mai, si è estremizzato. Siccome l’originalità così esotica del wuxia tira parecchio in occidente, è giusto insistere. A dire il vero chi ha ancora bene in mente l’estetica in fondo essenziale di capolavori come Ashes of Time di Wong Kar-wai o The Blade di Tsui Hark resta un po’ turbato di fronte alla leziosità di certi momenti (tipo la sequenza dei fagioli) o lo spudorato calligrafismo di altri (i combattimenti nella foresta). Però, a sostenere questa tesi con forza si fa la figura dei vecchi tromboni. Quindi rientriamo nei ranghi. Questo film merita pollice su non tanto per il lavoro del regista, che ha disprezzato il genere finché non ha fiutato l’affare, quanto per le coreografie di Ching Siu-tung, che sono da sindrome di Stendhal, e per la portentosa prestanza degli interpreti: Zhang Ziyi, Andy Lau e il sinogiapponese Takeshi Kaneshiro.
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