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La foresta dei pugnali volanti

Regia di Zhang Yimou vedi scheda film

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La recensione su La foresta dei pugnali volanti

di Lehava
8 stelle

L'impero del senso visivo. In tutta la sua debordante, modernissima, maschile sensualità.

Anno 859 d.C: la Cina è in decadenza, attanagliata da povertà e corruzione. Una organizzazione di ribelli, l'alleanza de "I pugnali volanti" accusa apertamente l'imperatore e la sua inettitudine; ad esso opponendosi, con rigore e coraggio. Una giovane danzatrice ceca è sospettata di essere un'affiliata: alcuni ufficiali dell'esercito escogiteranno un piano per farsi condurre nel cuore della rivolta. Ma nulla è come appare, e, in un gioco di scatole cinesi (appunto), la trama di cappa e spada (wuxiapan) si svelerà sempre più un pretesto per indagare nell'animo umano, in un tripudio di bellezza, erotismo e grazia, colpa, vendetta, perdono e morte.

Al centro della scena, Mei, interpretata da una fulgente Zhang Ziyi. Frugata, annusata, da un regista, Zhang Yimou, che già in passato aveva mostrato (con un’altrettanto fulgente, ed espressiva, Gong Li) tutto il suo talento nel trattare il corpo, e lo spirito, femminile. La macchina da presa accarezza con meccanica voluttà la protagonista, scoprendone tutta la sensualità: nella lucentezza dell'incarnato (un volto splendido dall'arcata sopraccigliare alla bocca piccola tenuta spesso a broncio), nella vitalità dei capelli scapigliati che ricadono sugli occhi, fra la linea del collo e delle spalle (scoperte durante la danza nel Padiglione delle Peonie, ma anche nella scena del bagno nella foresta) che a tratti sorreggono appena vesti sontuose aperte, con abile maestria, su un decolleté accennato. Zhang Ziyi, presta la sua fisicità (impeccabile) e la sua interpretazione (non sempre impeccabile nelle parti più drammatiche) a questo svelamento progressivo: truccata, imperturbabile manipolatrice, coperta da tessuti dalle complesse trame dorate, danzatrice raffinata e guerriera dall'udito sottile, ci rivelerà, nella dilatata epifania conclusiva, tutta la sua fragilità di donna appassionata, contraddittoria, consapevole e combattuta.

E' un film di demoni, questo "La foresta dei pugnali volanti": che compaiono e scompaiono nella radura, che fanno frusciare le alte fronde, che hanno volti celati da cappelli di paglia, evanescenti presenze che colpiscono e sono colpite senza sostanza, senza dolore o gioia. Demoni che ammaliano e tormentano i protagonisti, i quali, sospesi in un’ era mitica non mangiano, non bevono, non dormono. Respirano impeto. L'amore è tensione, da subito palpabile fra il soldato Jin e Mei. L'amore è inganno reciproco. L'amore è negazione: impossibile fra due nemici. L'amore è colpa, verso i proprio ideali e verso la riconoscenza. E' un film che parla, attraverso colori cangianti, del buio in noi e fuori di noi: la supposta cecità, e naturalmente la morte, che aleggia ovunque e sempre. Nel buio c'è vita e azione (Mei che danza, combatte, scappa nella foresta nebbiosa ed intricata), nella luce (Mei vedente, che segue il proprio cuore, in un campo di fiori) il bagliore più forte della passione, presagio silenzioso di una fine crudele.
E’ sotto un cielo azzurro solcato da nuvole bianche, nell’erba smeraldo, che i demoni riacquistano forma, divenendo carne trafitta e sangue che imbratta il candore del primo inverno: la scelta per Mei; l’amore per Jin (non più Vento); l’odio e la superbia del possesso di Leo. Pare possano avere la meglio, quei demoni, in una sconfitta che è morte collettiva: la giovane donna sta pagando con la vita la propria libertà, così come il soldato un sentimento sincero, ed il capitano imperiale-infiltrato dell’alleanza il peso dell’abbandono e del rimorso a venire. L’ombra ed il gelo incombono.
Ma, sorprendentemente, essi vengono ricacciati nelle tenebre. Sconfitti da un gesto, un solo (ed unico durante la narrazione) gesto. Inaspettato e potente. Di gratuita pietà. Di perdono. E la luce ritorna a brillare: non quella calda del sole bensì quella accecante e fredda del riverbero della neve.

Le polemiche sull’approdo (tardivo e forse interessato) di Zhang Yimou allo wuxiapan lasciano il tempo che trovano, a mio avviso, davanti ad quest’opera che, in tutte le sue imperfezioni, affascina per una fotografia irrealmente bella, lucida, dai colori accesi e contrastanti; per le ambientazioni (tra Cina ed Ucraina) suggestive; per la sua interprete femminile, ancora un po’ immatura, ma di grande fascino; per la capacità registica di rendere palpabile la tensione erotica; per il sonoro curato; i costumi eleganti, originali se non bizzarri (l’abito verde di Mei).
Debole la sceneggiatura (seppur lineare):“latitante” nel senso di alcuni passaggi (per fare un esempio macroscopico, se Leo è un aderente a “I pugnali volanti” perché costruire tutta l’impalcatura della fuga di Mei e Jin: quale vantaggio per l’alleanza? Forse una posizione dominante e su terreno amico per annientare truppe imperiali? Un po’ stiracchiata come teoria) non sempre debitamente curata nei dialoghi (a volte superflui, nel finale, per esempio). E soprattutto, con perdite di ritmo: alcune sequenze di combattimento troppo lunghe, l’epilogo dilatato in maniera superflua. Si ha come l’impressione che la regia di Zhang Yimou si perda in meandri estetici autoreferenziali (la scena della danza con il lancio dei fagioli, sempre per fare un esempio). Al limite, però, riesce sempre a recuperarsi.

Forse non è un capolavoro assoluto, questo “La foresta dei pugnali volanti” ma, se il cinema è e richiede proiezione e immedesimazione, beh, personalmente, io le ho provate entrambe.
A dimostrazione che spazio e tempo sono, spesso, solo costruzioni culturali.
Abbagliante

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