Regia di Jonathan Nossiter vedi scheda film
Un documentario sul vino e sulla sua globalizzazione. Lo stile del docu-film è quello di Michael Moore, anche se la confezione è molto meno curata, oppure quello di inchieste televisive modello Report. Il tema è di grande attualità, ossia il vino, un prodotto di cui ormai non si può fare a meno di parlare per essere "in". Ma anche un prodotto sul quale si sono gettati avventurieri senza scrupoli al puro e semplice scopo di fare soldi, cancellando spesso secoli di tradizioni (un esempio: ormai anche da noi in Toscana si parla di barrique, termine praticamente sconosciuto fino a non più di vent'anni fa). Meno cattivo del collega Michael Moore, Nossiter fa parlare tutti e non dà giudizi espliciti sui suoi interlocutori, però si sbaglia chi, come Morandini, sostiene che l'atteggiamento del regista sia improntato solo al politicamente corretto, preludendo ciò a una certa ambiguità di fondo su quanto rappresenta. Lo spettatore avveduto capisce con nettezza da che parte stia la simpatia di Nossiter, che fa parlare molto personaggi quali Rolland e Parker, le cui enunciazioni nascondono una verità di fondo, cioè che con il vino si possono fare i miliardi (cosa che loro hanno fatto alla grande). Fra l'altro Rolland è mostrato più volte nell'atto di sputare il vino, nonché di consigliare ai propri clienti (che spaziano dall'Europa al Sud America, agli USA fino all'India e al Sudafrica) la "micro ossigneazione" del vino. E qualsiasi cosa sia quest'ultimo procedimento, dev'essere qualcosa che poco ha a che vedere con una genuina produzione. Non fanno miglior figura i nobili toscani intervistati da Nossiter, i marchesi Antinori e Frescobaldi, volenti o nolenti soci dei grossisti americani Mondavi, mentre il regista guarda con maggior simpatia e rispetto a coloro che difendono l'originalità e la diversità dei vini, a dispetto della loro uniformazione ad un gusto ormai davvero globalizzato, grazie a personaggi come Rolland e Parker. Non per caso la conclusione del film è lasciata al piccolo produttore sardo Columbu, difensore di un'arte della vinificazione ormai messa all'angolo dai dollari delle multinazionali. Chi mai potrebbe provare simpatia per gli imbalsamati Mondavi anziché per Mr. Broadbent, capo della sezione vini della casa d'aste Christie's, il quale afferma di preferire dei vini normali ma con una loro specificità ai vini a cinque stelle dal gusto sempre uguale? O chi potrebbe provare simpatia per il giovane Montillé, che tratta gli operai come pezze da piedi, anziché per suo padre Hubert, che parla del vino con le lacrime agli occhi? Oppure come si potrebbe non provare simpatia per i due giovani cantinieri volterrani che fanno notare come l'Ornellaia sia passato da una valutazione di circa 75.000 lire a 110 euro la bottiglia proprio nell'anno in cui l'azienda bolgherese è stata rilevata dai Mondavi o per l'agricoltore argentino che nella sua povertà offre in regalo due bottiglie di vino all'autore e alla sua cameraman, anziché per lo stilista Ferragamo e il suo amico critico Suckling, che vendono il "sogno toscano" all'estero e parlano bene di Berlusconi?
"Mondovino", lungi dall'essere politicamente corretto, è una requisitoria appassionata su dove stia andando il mondo: non a caso le interviste fiorentine si sono svolte durante i giorni del Social Forum, mentre su Firenze ronzavano gli elicotteri della polizia e i titolari degli eleganti negozi sprangavano le vetrine con pannelli antisfondamento.
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