Regia di Giancarlo Bocchi vedi scheda film
La frase di lancio del film è: «La verità è la prima vittima della guerra». Sacrosanto: verità - appunto - assoluta. Generalmente parlando, è anche il cinema la prima vittima delle cosiddette sovvenzioni statali, di cui anche Nema Problema è vittima (non si sa in quale quantità, e poco importa). E gli spettatori pure, insieme al cinema. Vittime ovunque, insomma. È che nel ricostruire con la più lucida oggettività possibile la tragedia della guerra della Bosnia-Erzegovina, il filmmaker-documentarista-giornalista Bocchi si è dimenticato di una cosa: l’emozione. D’accordo che si è tentato di fare un documento nudo e crudo (tra l’altro, senza musica, ma solo rumori di fondo e esplosioni continue), quindi glaciale nel rappresentare l’orrore, ma l’interesse non viene nemmeno a sbocciare. Anche perché si capisce che le ambizioni sono molto alte, da – ancora - verità assolute. Difatti, Nema Problema è una specie di Apocalypse Now attraverso i Balcani, alla ricerca di un comandante potente e temuto, con i giornalisti protagonisti che a poco a poco scoprono l’inutilità sia della menzogna sia dell’imparzialità, quindi l’inutilità tanto dell’arrivismo a tutti i costi quanto del rigore cronachistico, perché la mostruosità della guerra mangia comunque ogni intento, sentimento, etica. Però il film sembra un prodotto Tv Rai del 1986: stesso look, stesso andamento. Allora c’è un calcolo sbagliato tra intenti e effettivi mezzi. E chi ne risente è proprio il risultato finale.
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