Regia di Mamoru Oshii vedi scheda film
Il cinema migliore si rinnova sempre, anche dove meno siamo in grado di vedere. Figuriamoci in una poetica che fa della trasformazione dello sguardo il suo asse portante. È quella di Oshii Mamoru, che col sequel del già magnifico Ghost in the Shell punta altissimo e mette paura: perché non si fida degli stereotipi (la differenza tra uomo e macchina), e disegna un universo in cui l’immagine è sempre di più e sempre di meno di ciò che comprendiamo, mentre il sentimento, in un cartoon-noir che mescola animazione in 2D e 3D da computer grafica, sgomita per ritrovare un angolino di mondo. Che sia un dolce gesto verso un robot a quattro zampe (Batou che sistema le orecchie del suo cane mentre mangia in maniera che non cadano nella ciotola del cibo) o un ricordo, è sempre questione d’amore o, se vogliamo, d’innocenza (come recita il titolo originale). E non è facile da capire, quando due detective devono trovare il bandolo della matassa di alcuni cyborg che si ribellano ai loro proprietari. Snobbato e incompreso a Cannes 2004, con un paio di sequenze da urlo (il carnevale), colonna sonora indimenticabile di Kawai Kenji e un cuore filosofico che non teme i massimi sistemi. Un vero trionfo di segni, insiemi e suggestioni (interne o evidenti che siano), raccomandatissimo.
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