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Fahrenheit 9/11

Regia di Michael Moore vedi scheda film

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La recensione su Fahrenheit 9/11

di Gangs 87
7 stelle

A tre anni dall’attentato alle Torri Gemelle di New York, il regista più irriverente d’oltreoceano, Michael Moore, decide di fare il punto della situazione e ci spiega i retroscena di quelli che furono gli eventi che portarono a quella tragica mattina, e lo fa con quel suo modo unico di scavare nelle cose, come nessun altro avrebbe saputo fare.

 

Al banco degli imputati siede George W. Bush, 43esimo presidente degli Stati Uniti d’America, le sue truccate elezioni politiche la sua conseguente vittoria, a discapito di quel suo avversario tanto amato, quello che lotta(va) per la salvaguardia dell’ambiente e aveva tanti volti noti a sostenerlo, il buon caro Albert Arnold Gore Jr., meglio conosciuto come Al Gore.

 

Ma l’analisi dell’illecito metodo utilizzato per la salita al potere, i realtà è solo un accenno, l’intento di Moore è quello di concentrarsi sui rapporti tra la famiglia Bush e la famiglia Bin Laden. Collegando tutti gli intrecci, la maggior parte dei quali, inimmaginabili, tra i due “leader” opposti e contrari, il governo saudita e quello talebano.

 

Parte dalla presenza dei Bin Laden a New York il giorno dell’attentato, in quella tragica mattina, sembra che uno di loro fosse seduto ad un tavolo con il caro papà del presidente, per accertarsi che tutto ciò che stava per accadere, l’attentato alle torri, accadesse senza intoppi. Tutto questo per preservare gli interessi economici di un’azienda produttrice di armi, che avrebbe poi costruito tutti i componenti bellici, di quella che sarebbe stata la futura guerra all’Iraq, paese totalmente estraneo ai fatti dell’11 settembre.

 

Raccontarlo in due righe è davvero complicato, ci sono retroscena e collegamenti che vanno oltre la logica e che Moore spiega in modo impeccabile. Oltre questo accenno non andrò e mi soffermo a valutare la messa in scena e gli altri elementi cinematografici, tenendo conto comunque che stiamo esaminando un documentario.

 

In sostanza Moore ci offre un racconto lineare e concreto, con tanto di documenti alla mano. Avendolo visto dopo il suo ultimo lavoro dedicato a Trump, Fahrenheit 11/9, posso dire che questo è forse meno coinvolgente; sarà che la figura di Trump è comunque stata soggetta da sempre di attenzione mediatica, dandoci la possibilità di identificarlo meglio nel racconto, a differenza di Bush che resta un personaggio poco dedito alla notorietà.

 

Non si resta indifferenti a ciò che ci viene raccontato e lo sgomento più che la rabbia, si fanno spazio negli occhi di chi guarda. Le storie di vita vissuta di un popolo colpevole senza esserlo, i lutti che vengono mostrati, le esistenze che cambiano conseguenzialmente a scelte sbagliate, alla leggerezza di chi ha in mano un potere più grande di quello che potrebbe gestire, convogliano nell’egoismo umano di chi è pronto a tutto pur di curare i propri interessi. Laddove il bene di una nazione, del mondo intero passano in secondo piano, se lasciati in mano a persone assetate di denaro, come dopotutto lo è la maggior parte di noi ci fa capire che siamo senza scampo.

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