Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Sorrentino con la macchina da presa ci sa fare per davvero.
Basta vedere la scena dell'arrivo di Titta Di Girolamo alla corte del boss per capirlo. Una magnifica carrellata senza stacchi dove l'immagine non è solo in movimento, ma essa stessa diviene movimento, portandoci tutto d'un fiato fra le braccia del famigerato capo.
Riprese panoramiche, giochi di specchi, prospettive geniali, raccordi di soggettiva, insomma c'è tutto l'armamentario tecnico del regista napoletano, che ostenta un saggio della sua bravura.
il problema secondo me è che questo eccessivo vezzo diviene didascalico, appesantendo la storia e togliendo respiro ad una vicenda semplice semplice che diventa boriosa.
Titta Di Girolamo ricicla soldi per conto di una organizzazione mafiosa del sud, che gli invia puntualmente danaro in una valigetta. Titta lo consegna in una banca del luogo(siamo in Svizzera) ed incassa la parcella per se, fino a quando due killer giunti per regolare alcune questioni estranee , decidono di sottrargliela. Titta ora deve rispondere al boss e lo farà in maniera dirompente.
Perché Titta riscopre un sentimento, l'amore per una dipendente dell'hotel presso il quale alloggia, che gli ricorda che è ancora vivo, e che lo porterà ad un punto di non ritorno, infrangendo la bulimia emotiva nella quale è sprofondato.
Servillo è un gigante per carità, messo pure di fronte ad un vuoto attoriale che si manifesta negli anonimi comprimari, ma il film fra grottesco ed inserti metafisici, perde mordente. Probabilmente il cinema di Sorrentino non fa per me.
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