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Le conseguenze dell'amore

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su Le conseguenze dell'amore

di Lehava
8 stelle

Un tragico viaggio nei meandri del vuoto che sta dentro di noi, come staticità e silenzio. Nel baratro del nulla che sta fuori di noi, spazio senza forma e sostanza che non può mai trasformarsi in luogo, men che meno confine. Fine ineluttabilmente consequenziale all'inizio o forse, inizio che è già fine. Come dire: il cuore della poetica sorrentiniana. Nella sua declinazione più leziosamente razionale.


Un fumo grigio e denso, la sigaretta sempre in bocca, avvolge un elegante ed imperturbabile uomo di affari. Presenza fissa di un hotel del Canton Ticino. Ambiente che è non-luogo per eccellenza: una camera uguale a decine di altre, solo un numero ad differenziarla. Il tavolino del bar come soggiorno, la sala da pranzo tinello di una domesticità dimenticata. Una città senza anima ruota attorno: strade, edifici, parcheggi: tutto così ordinario e pulito da perdere ogni identificazione, persino quella geografica fra un lago scuro e montagne presenti ma invisibili. "Sono il vuoto, non sono diverso dal vuoto, né il vuoto è diverso da me; in realtà il vuoto sono io." (Jack Kerouac "I vagabondi del Dharma"): avrebbe potuto essere una bella battuta, sussurrata a fior di labbra dal protagonista in una delle sue tante notti insonni, origliando i movimenti e le parole altrui. Se solo un briciolo di drammaticità (o sincerità?) fosse rimasta in lui. Immaginazione, la definisce: scrutando con finta disattenzione la vita che gli scorre accanto. Ma non dentro. Perchè Titta di Girolamo, questo il suo frivolo nome, respira ma è già morto. Anche se una vena di inconsapevolezza ancora lo attraversa, e forse, lo sostiene. Murato ed auto-muratosi (il cemento che cementerà la sua fine), sospeso una dimensione metafisica totale. Forse per paura, forse per istinto primordiale di conservazione, forse per incapacità di una visione alternativa. Le sue giornate scorrono in una noia deliberatamente scelta: l'isolamento è fisico, mediatico, psicologico, emotivo. In una riservatezza che rasenta la maleducazione. E pure la trasgressione, abitudinaria più che piacevole, è pianificata e controllata: sia essa droga o azzardo. Lo spettatore è portato a conoscenza, più che coinvolto, in una narrazione senza trama. Esattamente come Titta Di Girolamo pare "subire" gli eventi piuttosto che deciderli o inciderli: le persone gli si parano davanti (il fratello, la barista), esattamente come una valigia piena di soldi della malavita, da depositare in una banca connnivente ogni settimana o giù di lì. Lui esegue. Lui vede ma non insiste a guardare (il riflesso di un corpo femminile in uno specchio). Lui chiama i figli ma non si impegna in una conversazione. Lui possiede una pistola ma non la usa. In questo uomo senza parole e che ha dimenticato (o forse mai conosciuto?) le emozioni c'è una attenzione precisa, forse addirittura eccessiva, alle conseguenze. Non a caso, da buon commercialista calcolatore. Ma Titta di Girolamo non è stato, e non è, un buon commercialista calcolatore: infatti, ha sbagliato un grosso investimento per conto della malavita. Per questo, da otto anni, paga con la vita, rimettendola in mani altri. Infatti, decide di mettere in gioco sé stesso: sedendosi al bancone di un bar a conversare con una ragazza; sottraendo del denaro non suo, regalandosi un viaggio extra nell'inferno dell'oblio drogato. Questa sua imprevedibile propensione al rischio lo porterà, naturalmente, alla rovina.


"Le conseguenze dell'amore": un titolo melodrammatico per un'opera asettica. O come direbbe il protagonista: di frivolo c'è solo il nome. Opera seconda del regista italiano del momento (scrivo questa recensione il giorno dopo l'ennesimo premio a "La grande bellezza") ha grandi pregi. E qualche "difetto d'autore" di troppo. Paolo Sorrentino è un bravo regista: lo è "tecnicamente" parlando. Sa dosare molto bene le scelte (di inquadratura, di ritmo, di atmosfera), in un equilibrio personalissimo fra compostezza e eccentricità. Nel suo cinema aulico e rozzo sono due facce della stessa medaglia. Soprattutto, sa trarre il meglio da ogni collaborazione: la fotografia di Bigazzi è, non serve quasi neppure dirlo, perfetta; gli attori sono diretti tutti con passione, tutti nei loro limiti, pregi, peculiarità; il sonoro è curato ed espressivo: ogni silenzio, ogni accompagnamento
musicale, sia esso strumentale o canoro, appena accennato o invadente accompagna, esalta o elude, irretisce o slega la narrazione. Continuo ad nutrire delle perplessità, invece, per quanto riguarda Paolo Sorrentino sceneggiatore. "Le conseguenze dell'amore" sembra non riuscire mai a trovare la propria strada: a cavallo fra noir, thriller psicologico, gangster movie e dramma, a tutto partecipa, ma a nulla aderisce. Se non forse ad un manierismo di forma veramente eccessivo: anche nella prova di Toni Servillo, che fagocita il personaggio ed i personaggi di contorno. La scrittura è a tratti inutile (l'incontro con il fratello), altre inconsistente (la barista. Le figure femminili restano un punto debole del regista napoletano) altre ancora superficiale (i malavitosi: ancora molto difficile evitare gli stereotipi), in una densità filosofico-letteraria un po' posticcia. Può essere che non riesca a rassegnarmi alla tristezza totalizzante di quest'opera: il sacrificio inutile di un uomo senza scopo. Che cio' mi appaia tanto più inverosimile in quanto insostenibile. Perchè in fondo  "Il vero mistero del mondo è il visibile, non l'invisibile" (Oscar Wilde da"Il ritratto di Dorian Grey")
 

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