Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Il suo nome è Titta Di Girolamo (un Servillo che dà un'interpretazione magistrale). Ha cinquant'anni, di cui gli ultimi dieci passati rinchiuso in un albergo svizzero, come vivesse in un acquario, lui che è di Salerno. Silenzioso, solitario, apparentemente imperturbabile, si inietta una dose di eroina ogni mercoledì, alle dieci. Senza eccezioni. Il suo lavoro è quello di consegnare una valigia carica di denaro in una banca. Ha anche un fratellastro (Giannini) e una famiglia che lo disdegna. Titta Di Girolamo è maledettamente solo. Ci sono soltanto le sigarette a fargli compagnia. Sempre. Sempre accese. La noia di questa esistenza grigia viene rotta dal raggio di luce di un'inserviente dell'albergo (Magnani, la nipote di Anna Magnani). La mafia penserà al resto. Il cinema d'autore è questo: storie raffinatissime, sceneggiatura sobria, dialoghi acutissimi, scenografie impeccabili, incastro narrativo esemplare. C'è questo e c'è altro - l'ossessione per la rilevanza dei nomi - nel secondo lungometraggio di Paolo Sorrentino. Il ritratto di un antieroe postmoderno impietrito nella sua esistenza - nella vita come di fronte alla morte - sospeso in una dimensione metafisica e votato al sacrificio della vita in nome di un nichilismo parossistico.
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