Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Rinchiuso coattamente in un albergo svizzero dove lavora per conto della mafia, il commercialista Titta Di Girolamo (non) vive un’esistenza degna di essere chiamata tale e trascorre la propria routine riciclando il danaro sporco di cosa nostra, giocando a carte con una vecchia coppia ex ricca e consumando la sua settimanale dose di eroina il mercoledì mattina alle dieci. Appartenente alla setta degli insonni, ossia coloro ossessionati dal sonno, comincia a sviluppare una qualche opposizione alla sua non-vita poiché invaghitosi dello sguardo enigmatico della barista dell’hotel. Quando sembra che qualcosa possa cambiare, ecco che la mafia lo impallina e lo punisce definitivamente.
Con una raffinatezza superficialmente fredda – in realtà partecipe e coinvolta – e uno stile rigoroso e scarno, Sorrentino scava nel profondo dell’animo umano per realizzare la sua versione sul male di vivere. Nell’oscurità di una depressione silente e crepuscolare, si addentra nei meandri cupi di un’esperienza di vita drammatica e radicale con una ragione essenziale: dare voce ad un personaggio smarrito. In questa tragedia quietamente disperata, l’amore ha la funzione di elemento destabilizzante e sconvolgente, perché, anche (non) vivendo una vita senza emozioni, non bisogna mai sottovalutare le conseguenze dell’amore. È il sentimento che procura la rottura dell’equilibrio all’interno del background narrativo, con la vigorosa potenza dei tentativi estremi di dare nuovo volto alle cose.
Non privo però di una sua ironia di fondo, specie nella curiosa prima parte, tutta incentrata sulla rappresentazione del personaggio (lo stetoscopio utilizzato per ascoltare le conversazioni dei vicini di stanza, il segret(in)o raccontato al curioso direttore dell’albergo), si sbarazzo tuttavia di ogni traccia “brillante” (ovviamente un brillare pallido ed assorto) per svicolare nella seconda parte nei territori cupi del noir esistenziale e del thriller psicologico (ma non solo). Ricco di battute ad effetto, racconta tutto sottovoce per paura di disturbare – Titta è un personaggio che agisce sottovoce, anche per timore di far capire agli altri chi è veramente. Forse non a caso riesce ad instaurare un rapporto, per quanto difficile, solo con i vecchi signori della porta accanto, abitanti spettrali di un mondo perduto (perfetto Raffaele Pisu, dolente e sul viale del tramonto).
Un dramma intenso e misurato, cantato dalla voce sola di uno strepitoso Toni Servillo – è riduttivo dichiarare che Sorrentino si affida al suo attore. A parte che non è così, ma c’è altro. Servillo offre un’interpretazione fredda e impassibile, priva di espressioni e vezzi (recupererà il lavoro fatto per Titta anche quattro anni più tardi nel magnifico Il divo), tutta giocata sulla sottrazione e sull’indagine cerebrale. Vero e coerente mattatore di un film a sua volta coerente con se stesso, si salva dal definitivo naufragio con la morte. Si riscatta, paga caro. Un finale agghiacciante, eppure incredibilmente sereno, inevitabile.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta