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Merry-go-round

Regia di Jacques Rivette vedi scheda film

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La recensione su Merry-go-round

di Aquilant
8 stelle

Una sottile ombra di mistero che va sempre più ispessendosi incombe su questo “Merry go round” che in quanto a stravaganza si rivela forse un po’ più parco rispetto alle opere rivettiane immediatamente precedenti, in particolare ai primi due stralci della serie “Scene dalla vita parallela”, peraltro mai completamente realizzata.
Certo, il magico fascino sprigionato dalla visione delle gesta delle spiritate Céline e Julie, antesignane del bunueliano “oscuro oggetto del desiderio”, qui appare completamente dissolto ed anche le soffocanti atmosfere di “Duelle” e “Noroit” (quest’ultimo mai distribuito a causa della cattiva accoglienza riservata al suo pur valido predecessore) con tutte le rispettive messinscene esotericheggianti sembrano ormai appartenere ad un passato che è meglio non evocare (è il caso specifico di Noroit) e che con il cinema vero e proprio non ha molto da spartire.
A prima vista l’incedere rivettiano appare quasi calato un una normalità quotidiana, a parte l’ostinata perseveranza con cui vengono assolte le modalità di ripresa, con la macchina da presa manovrata a mano e tutt’altro che propensa a dedicare tutto il suo tempo allo studio delle inquadrature, anzi dedita a penalizzarle con una certa trasandatezza di fondo allo scopo di dotare l’assieme di quel senso di immediatezza che non guasta mai in talune circostanze, specie quando si ha a che fare con una ferrea volontà registica tendente ad estremizzare in tutti i modi possibili ed immaginabili il proprio personale sguardo sulla realtà piegandolo alle esigenze di una storia che, a detta dello stesso autore “con tutti i suoi detours, si spera che conservi qualcosa dei pericoli e delle insidie che ha attraversato, delle sue incertezze, dei suoi momenti di trasparenza, anche se ci si accorge che forse il viaggio è stato solo un girare in tondo, come su una giostra”
La presenza della rediviva Maria Schneider, tutta freddezza ed enigmaticità, più che ad impreziosire l’andamento della narrazione con la propria presenza da gatta scontrosa ed introversa tende invece a conferirle un alone di inquietante ambiguità che finisce col risolversi in una serie di sequenze che denotano, ma soltanto un apparenza, un alto tasso di dispersione narrativa, ma che in realtà rivestono la funzione di veri e propri tasselli posti dall’autore come pretesto per un’indagine a tutto campo sulle caratterialità psichiche dei protagonisti, peraltro dotati di due personalità ben distinte tra loro ma provvisti di una sorprendente complementarità destinata a risolversi in un continuo interscambio di sensazioni, sentimenti, impressioni, percezioni che costituiscono la vera sostanza del film. Laddove alla fine le parole, pur della massima essenzialità, dimostrano di rivestire un’importanza piuttosto limitata agli occhi dello spettatore rapito più che altro dalle modalità di svolgimento dell'opera, poco propenso a perdersi completamente dietro le tortuosità di una trama che alla fine risulta quasi come un mero pretesto, una serie di giri mozzafiato su un “merry go round” che non accenna mai a fermarsi.
Ed a sottolineare il procedere nervoso e concitato delle della narrazione le note di un sofferto stridore sulle ali di un’improvvisazione estemporanea a getto continuo, quasi vomitate addosso allo spettatore dal clarinetto basso di John Surman e dal contrabbasso di Barre Phillips, visibili a tratti tra una sequenza e l’altra, non fanno altro che procedere ad una sorta di salutare sospensione a mezz’aria della tensione narrativa così sottilmente instaurata dal regista.
Per acuire maggiormente il concetto “homo homini lupus” che si va sempre più disvelando nel finale, Rivette inframmezza nell’intero arco della storia una nutrita serie di spezzoni che richiamano alla mente talune situazioni narrate nel romanzo “la decima vittima” di Robert Sheckley, aggiungendo un finale chiaramente simbolico in cui la lotta senza quartiere tra gli esseri umani sembra addivenire a dei momenti di tregua. Momentanea? Fittizia? Duratura? L’autore lascia ogni considerazione a proposito al libero arbitrio dello spettatore. Perché in fondo ciò che realmente conta è arrivare a tirare il fiato alla fine di quasi tre ore di vorticoso giro di giostra. Merry go round appunto.

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