Regia di Wolfgang Petersen vedi scheda film
Wolfgang Petersen e il suo giovane sceneggiatore David Benioff (La 25a ora), secondo alcuni accigliati e rispettabili conoscitori della Grecia antica non supererebbero un esame di maturità classica. Troppe sviste calcolate, troppe manipolazioni, troppi aggiustamenti, troppe rielaborazioni di una diacronia da manuale della storia della letteratura classica. Personaggi che muoiono e che non dovrebbero morire per non rendere vane alcune tragedie, dei che stanno a guardare e non si intromettono nelle umane vicende, temi delicati attenuati o fraintesi, contaminazioni poco ortodosse. Troy non è una messa in scena rigorosa dell’Iliade, non è un testo filologico, non è una ricerca da gruppo di studio, non è una lettura critica, non è una parafrasi, con cospicuo apparato di note, dei canti omerici. Aspettarsi che sia qualcosa di diverso da quello che è, appare ridicolo e superfluo, ravviva il pregiudizio sull’inferiorità e sulla “volgarità” del cinema, fa dimenticare la regoletta che un film ispirato a un libro, di valore altissimo o di banale consumo, deve avere il coraggio e l’impudenza di tradirlo e, nel caso di un kolossal hollywoodiano, immaginato, scritto, girato e lanciato per essere un campione di incassi dell’estate, questo laborioso “tradimento” deve attenersi più alle convenzioni di un ”genere” che ad altro. Troy è fedele all’economia narrativa, al mix divistico, alle semplici linee strutturali, ai dialoghi, ai ritmi del “peplum” (che è sempre stato considerato dalla maggior parte dei critici un filone minore, una pratica bassa nel mosaico della produzione artigianale del cinema). L’inverosimile, a partire da fonti storiche più o meno attendibili, è l’orizzonte della messa in scena degli accadimenti epici e dell’interazione tra i personaggi del peplum e Petersen, aiutato dalla tecnologia digitale, deve aver avuto presente questi modelli abbandonati, con l’eccezione di Il gladiatore, da qualche decennio e ha potuto visualizzare le mille navi che approdano a Troia, le milizie di comparse e cloni e il clangore delle loro armi. Per gli attori (come in Elena di Troia di Robert Wise del 1953), il casting ha guardato alle bellezze europee, Diane Kruger (Elena) e Orlando Bloom (Paride), e ai maschi americani, Brad Pitt (Achille). Ma il cinema è cambiato e allora non si possono trascurare mercati come quello australiano: Eric Bana (Ettore), Rose Byrne (Briseide). In Troy, come nel peplum classico, l’aderenza fisica ai ruoli è prioritaria rispetto alla recitazione e alla elaborazione dei personaggi e nonostante questo, Peter ‘O’Toole (Priamo), Eric Bana e Brad Pitt si impegnano e offrono buone prove d’attore. Il divertimento non manca e anche chi non riuscirà a entrare nel film non potrà non apprezzare la bellissima scena in cui Priamo chiede ad Achille il cadavere del figlio Ettore.
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