Regia di Walter Salles vedi scheda film
Più bildungsroman di così non esiste. Un regista brasiliano, un protagonista messicano, un coprotagonista argentino, una serie di produttori internazionali (tra i quali spicca l'americano Robert Redford) per un film che racconta il viaggio di due giovani argentini attraverso tutto il continente sudamericano, dalla Patagonia al Venezuela. E il rischio di fare un grosso buco nell'acqua era enorme. E invece tutto sommato l'operazione funziona, con qualche figurina di troppo e qualche scena, specialmente sul finale, un po' troppo patetica: quando parte dal lebbrosario, dove ha soggiornato per appena tre settimane, Guevara è salutato quasi come un taumaturgo. In realtà quella breve permanenza fu molto più importante per lui che per i degenti del moderno lazzaretto.
E comunque si deve dire che lo spettacolo c'è e sodo, con i paesaggi immensi e maestosi del Sud America a fare da sfondo a una serie di miserie umane, delle quali Ernesto e Alberto cominciano a prendere coscienza, che fanno tremare le vene dei polsi ("le vene aperte dell'America Latina", per dirla con Sepùlveda). Personalmente, Garcia Bernal come Guevara mi convince poco, ma è tutta l'operazione che funziona, a cominciare da quella moto caricata all'impossibile. Eh sì, prima che Ernesto "Fuser" diventasse il Che, immortalato sulle magliette di tutto il mondo, "a noi piace ripensare alla sua voglia di partire, alla moto caricata all'impossibile, agli scherzi di Alberto, alla sete di avventura: è un bel modo per dire libertà".
Consiglio a tutti, dopo avere visto questo film, di ascoltare la canzone "Transamerika" dei Modena City Ramblers".
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