Regia di Cédric Klapisch vedi scheda film
Al giorno d’oggi fare un film di genere, seguendone passo passo le convenzioni senza tante intenzioni “alte”, mette addirittura dei dubbi sul suo valore. Roba da matti. Quando invece dovremmo tenerceli ben stretti, i prodotti di genere. Autoreverse è appunto questo, un prodotto, e di genere. Klapisch, che non è mai stato una cima e non è mai stato –né mai sarà - un autore, non vuole fare altro che un polar. E ci riesce bene, perché ci si avvicina con modestia. I suoi scopi sono: raccontare una storia; farlo nel migliore e più “classico” dei modi possibili, senza dunque mire postmoderne; giostrare con sicurezza uno stuolo di attori con le facce giustissime. Nelle vicende di questi ladri, che stanno e lavorano insieme nonostante incomprensioni e difficoltà, si alternano toni e suggestioni, caratterizzazioni e tinte. Autoreverse parte come Sette uomini d’oro e finisce come Nido di vespe (con tutti i dovuti distinguo di entrambi i casi). Non si sofferma troppo sul romanticismo della malavita, e si impenna negli ultimi venti minuti verso un pessimismo e una crudeltà inaspettati. Ed è qui che scarta verso arie da noir americano anni ’40, per recuperare un altro colore del nero. Una gran bella sequenza (alla tavola calda col figlio di uno della banda), e un sentimento generale di umiltà. Basta e avanza.
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