Regia di Andy Warhol vedi scheda film
Il nulla per duecento minuti. Che poi è il manifesto programmatico del 'cinema' (per dirlo correttamente: dell'insulto al cinema) di Andy Warhol, a prescindere ovviamente dalla durata della pellicola. Come di consueto nei suoi film, anche qui non c'è niente da vedere; gli intellettuali snob critici raffinati cultori dell'estetica capaci di negare l'evidenza lo definiranno 'uno studio sulla casualità', mentre il pubblico che invece il film lo vede per davvero si annoia, sbadiglia, si addormenta, bestemmia inverecondo contro Warhol (reazione, quest'ultima, che è senza ombra di dubbio l'unica desiderata del presupposto 'regista'). Split screen e una telecamera fissata a caso in una stanza; personaggi improbabili si alternano sul doppio schermo e sentenziano sciocchezze senza pietà (per occhi e orecchie dello spettatore): cosa realmente si poteva proporre Warhol, 'girando' e assemblando del materiale tanto scadente e infimo? Anche un bambino può fare un film del genere: questo è ciò che voleva sentir dire il regista ed è d'altronde uno dei capisaldi della sua creatività, la mancanza di una ricerca artistica. Ma tutto ciò infastidisce a oltranza quando viene stipato in tre ore e un quarto di vuoto pneumatico. La colonna sonora (più rumorista che musicale) è a opera dei Velvet Underground e, nel finale, compare anche Nico, nell'unico segmento del lavoro in cui la macchina da presa venga mossa. Per il resto, vedere qualche pene di fuori e un tizio che si spara una siringona di eroina vantandosi, è soltanto nulla. Ma non solo ora: lo era già nel 1966. Inqualificabile. 1/10.
Fotomodelle, tossicodipendenti, omosessuali, narcisisti: i personaggi che ruotano attorno alla Factory di Andy Warhol sono ripresi durante una giornata qualunque, alle prese con dialoghi, monologhi, silenzi.
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