Regia di Antonio Pietrangeli vedi scheda film
Una patina dorata si posa sul grottesco, accendendolo di una magia infantile, che trasforma l'ironia in stupore. La critica sociale usa il linguaggio della favola, che svela le contraddizioni del presente attraverso lo sguardo semplice e disincantato di un gruppo di antichi spettri. Queste figure invisibili, più lattiginose che eteree, sono rivestite, come statue, di una carnalità simbolica, forgiata intorno ad un unico tratto caratteriale (la gola, il libertinaggio, l'ingenuità) che è anche la causa delle rispettive morti. Fra' Bartolomeo, Reginaldo, Flora e Poldino sopravvivono in eterno come maschere dei propri fatali errori: questi hanno insegnato loro il vero valore della vita, che, nell'al di qua, appare sempre relativo, essendo soggetto ai limiti dell'umana miopia. Dall'alto della saggezza acquisita col distacco dalla terra, è quindi impossibile veder vivere i mortali senza intervenire, soprattutto quando la loro superficialità rischia di sottrarre spazio alla quieta dimensione della trascendenza, in cui risiedono i tesori spirituali del passato. Questo è il senso metaforico dello "sfratto dei fantasmi": l'avveniristico grattacielo adibito a centro commerciale, che dovrebbe sorgere sulle macerie della loro secolare dimora, rappresenta una smania di crescita interamente, e cinicamente, riversata sul piano materiale, e indifferente rispetto alla ricchezza affettiva e intellettuale che ci hanno lasciato in eredità i nostri avi. "Fantasmi a Roma" non è un grande film - soprattutto nel quadro della filmografia di un regista come Antonio Pietrangeli – però è un piccolo film dalla forma delicata e dalla sostanza gustosa, impreziosite dall'originalità della prospettiva da cui si diverte a mettere a fuoco le magagne di casa nostra.
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