Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Con la stessa (in)coerenza con cui si svolgono i sogni, ecco che il film è la sommatoria di storie episodiche unite fra di loro da un filo sottile (una parola, un personaggio, un ambiente in comune) in cui - a fronte di un impostazione realistica - avvengono situazioni stravaganti che spiazzano lo spettatore conducendolo ad un effetto di "straniamento".
Si parte da un episodio della guerra napoleonica in Spagna ove un ufficiale si invaghisce della statua di una nobile presente in una chiesa e ne fa profanare la tomba, per arrivare - passando per un pedofilo che distribuisce cartoline illustrate di monumenti alle bimbe nei parchi o per i frati carmelitani impegnati a giocare a poker con santini e medaglie votive o per la relazione incestuosa fra nonna e nipote - fino allo scontro finale fra la polizia e i giovani manifestanti allo zoo, in cui le cose più che essere apprezzate sensorialmente sono il frutto della percezione soggettiva che sovrasta ogni logica razionale.
Siamo quindi in piena poetica surrealista: l'azione scenica è più figlia della psicologia e delle passioni dei personaggi che del contesto concreto in cui sembrano svolgersi.
Ne emerge quindi un registro paradossale e di farsa (eppure il film è classificato come drammatico) con toni accennati ma torbidi atti a rappresentare in qualche modo la sessualità repressa (tema molto diffuso negli anni '70) in un gioco Freudiano in cui si guarda ma si ha paura di vedere cosa realmente significa (vedi ad esempio il ricordo che il Questore di Parigi ha della sorella morta che suonava al piano, e che nella sua memoria compare completamente nuda).
Certo rivederlo oggi probabilmente fa un effetto diverso, ma 40 anni fa era il tentativo di rompere con un certo modo di lavorare nelle arti figurative e nella cinematografia convenzionale.
Il cast però è di prim'ordine: gli attori facevano a gara a partecipare al film del Maestro spagnolo, a volte per piccole particine e in maniera "amichevole" (da Michel Piccoli a Monica Vitti, da Jean Rochefort a Milena Vukotic).
E con spunti verosimilmente autobiografici proiettati nell'episodio dello psicopatico che dall'alto di un grattacielo in costruzione spara (e uccide) ai passanti, venendo poi fermato e condannato dal Tribunale, ma subito dopo smanettato e libero di uscire dall'aula di giustizia per firmare autografi: pare che Bunuel volesse riferirsi a se stesso, da sempre votato alla distruzione e al rinnovamento del linguaggio cinematografico, ma addirittura premiato due anni prima con l'Oscar, il massimo riconoscimento di un certo cinema commerciale che lui tanto detestava.
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