Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Espressione di un cinema ribelle e di insistita libertà stilistica, Luis Bunuel ci illustra i falsi miti e i falsi metodi di giudizio di un'umanità imprigionata dalla civiltà, che si è autodemolita costruendosi addosso e intorno divine e profane credenze. Si perde qualunque limite nel lungometraggio di Bunuel, che inizia collegando le storie quasi come "La Ronde" di Ophuls, e poi concedendosi ancora più libertà narrativa. Il risultato è una girandola impazzita e divertita, che non sembra mai prendersi sul serio benché sia di una serietà assoluta. Quasi un'estremizzazione del "Fascino Discreto", più estesa, più ardita ancora (se possibile), meno appassionante. Se nell'altro capolavoro c'è una partecipazione intellettuale di notevole portata, un geniale compromesso con il divertimento, ma di sottile raffinatezza, qui è tutto quasi più disperato, più frammentario, una quantità infinita di labirinti bunueliani che giustamente ci disorientano e ci offrono un'educazione 'alternativa', priva di pregiudizi, priva di limiti. Dalle foto presunte oscene di Monica Vitti, all'albergo impazzito di Milena Vukotic, dalla sonata di una Adriana Asti 'desnuda' fino alla tavolata dei gabinetti, crollano certezze date per assodate, non però per un mero scherzo furbo e intellettualoide, ma per parlarci di una libertà che abbiamo perso, di come abbiamo posto un freno alla nostra stessa natura. Anarchico e liberatorio.
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