Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Episodi grotteschi concatenati fra loro in sequenza. C'è il maniaco che spaccia foto di monumenti, la bambina portata al commissariato per denunciarne lo smarrimento, il condannato a morte che firma autografi e se ne va via libero, la defecazione collettiva come affabile momento di ritrovo fra amici e via dicendo.
Quella del Fantasma della libertà è una sfida che Bunuel lancia alle convenzioni (borghesi, vuole la critica ufficiale, ma a ben guardare non è così chiaro e definito l’obiettivo del regista) e contemporaneamente una sfida alle possibilità del mezzo cinematografico, con una sceneggiatura (del regista e di Jean-Claude Carriére) che gioca in maniera a tratti arguta – a tratti, si sottolinea – sul grottesco per dilatare una manciata di episodi apparentemente slegati fra loro fino a formarne in qualche modo una catena di nonsense, a cavallo fra inquietante e subliminalmente disturbante. Il risultato: cento minuti di perplessità, che sorgono a volte con l’opera e altre sull’opera; inequivocabile è invece lo stratosferico assortimento che vanta il cast, con un parco attori internazionale e di primo livello: Monica Vitti, Jean-Claude Brialy, Milena Vukotic, Jean Rochefort, Adolfo Celi, Michael Lonsdale, Michel Piccoli e Adriana Asti sono solamente i più noti. Monumento visivo all’irrisolto e all’inspiegabile che in varia maniera domina l’età contemporanea, con moderate punte iconoclaste e sovversive rivolte contro forze dell’ordine, pubblica amministrazione e chiesa, questa è la penultima pellicola di Bunuel, che terminerà la sua carriera registica tre anni più tardi con Quell’oscuro oggetto del desiderio (1977). 6,5/10.
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