Regia di Marcelo Piñeyro vedi scheda film
Dopo il golpe del 1976, una famiglia composta da un padre, da una madre e da due figli, uno di dieci anni e l’altro più piccolo, si trasferisce da Buenos Aires verso la campagna, in una grande villa immersa nel verde. Là la famiglia passera alcuni giorni, ad essa si unirà anche un giovane, ma il bambino di dieci anni si inizierà a chiedere perché tutto questo, perché dover lasciare la scuola e i suoi amici per andare in quel posto… la risposta la troverà presto, troppo presto.
Che l’Argentina non abbia mai sfornato grandi capolavori e che probabilmente davvero di rado lo farà anche in futuro, lo si sa, ma ciò non vuol dire che bisogni sminuire gli sforzi, o comunque l’impegno che caratterizzano alcuni buoni prodotti che ci pervengono da questo paese in crisi economica, “Kamchatka” ne è un esempio eclatante, una buona prova di un regista emergente, Marcelo Pineyro, che dimostra di saper muovere la macchina da presa e di saper gestire una riflessione colossale. Lo scheletro della vicenda infatti è proprio la riflessione, proporzionata ad ogni età ma sempre presente nell’animo umano, l’infanzia trasbordata a qualche anno più tardi dovrebbe far pensare, a quanto gli eventi del mondo facciano crescere e comprendere in negativo un mondo incomprensibile sotto ogni punto di vista. Ed è proprio Kamchatka, territorio conosciuto dai giocatori di Risiko, ad essere il luogo del capire e del reagire, della cognizione e della resistenza, un luogo traslato, un neurone attivo della nostra mente e un imput concreto delle nostre azioni. Il cast è efficace, le musiche splendide e la regia matura, “Kamchatka” è un opera che racconta di luoghi comuni, che nel bene e nel male, non sono altro che gli spazi in cui viviamo.
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