Regia di Fenton Bailey, Randy Barbato vedi scheda film
I Club Kids erano ragazzi giovanissimi che negli anni ‘80 affollavano i party di New York con i loro costumi sgargiantissimi. Non facevano nulla: presenziavano soltanto. Michael Alig, dal nulla, diventò un organizzatore “in” di feste, quasi soffiando il ruolo al suo amico/nemico James St. James. Drogati marci, i Club Kids venivano ospitati in Tv, e si parlava di loro ovunque. Ma la droga uccide, e Alig finì in prigione per aver ammazzato il suo spacciatore. I due registi, cinque anni prima, avevano girato un documentario dallo stesso titolo, e sugli stessi avvenimenti. Peccato che due minuti di Le regole dell’attrazione dicano molto di più su un contesto storico di tutto Party Monster, basato sul libro che James scrisse su questi eventi, Disco Bloodbath. Ascesa e discesa di una stella e di un immaginario coscientemente fatti di niente, il film è banalissimo e noioso nonostante paillette, parrucche e centinaia di citazioni e rimandi, anche temporalmente sfasati. E già Liquid Sky, più di vent’anni fa, aveva detto ogni cosa, e da dentro, su una “controcultura” che ribolliva per esplodere, e infine implodeva. Lo shock nell’assistere all’ex bimbo Culkin in drag è breve, anche perché manca il coraggio per andare fino in fondo (non c’è un solo accenno di sesso). Il moralismo fa sempre capolino, la musica è convenzionalmente assortita e il doppiaggio è atroce.
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