Regia di Eric Till vedi scheda film
Martin Lutero: 1483-1546, uno studente tedesco di dottrine giuridiche che per adempiere a un voto divenne monaco, dottore e docente in teologia, che si scandalizzò dell’esoso mercato delle indulgenze (con il quale il papa Leone X raccoglieva i fondi per la costruzione di San Pietro), affisse sulla porta del duomo di Wittenberg le sue 95 Tesi con le quali metteva in discussione il primato papale e rivendicava l’autoresponsabilità morale dell’individuo e la grazia concessa da un Dio misericordioso, fu dichiarato eretico e messo al bando dall’imperatore Carlo V, salvato dal principe Federico di Sassonia, tradusse la Bibbia dal greco in tedesco, sposò l’ex monaca Katharina von Bora ed ebbe da lei sei figli. Il fondatore della riforma protestante, uno dei giganti del pensiero filosofico e religioso di tutti i tempi, rivive in chiave teatral-avventurosa nel film di Eric Till interpretato da Joseph Fiennes, che gli dà l’ardore di un giovane guerriero (ma per il côté tormentato e dotto sarebbe stato più adatto il fratello Ralph, forse un po’ in là con gli anni). Da un lato Luther è prevedibile: un filmone un po’ teatrale fatto di dialoghi affilati, di alcune altissime interpretazioni (il sornione Federico di Peter Ustinov, il sanguigno frate John Tetzel di Alfred Molina), di “aggiustamenti” storici. Ma, a differenza di quel che ci si aspetta, non è noioso, perché la regia non esita di fronte ai cliché dei film d’avventura (“buoni” e “cattivi” si distinguono subito fin dall’abbigliamento e dai tratti somatici) e ai colpi di teatro (il migliore: il rifiuto dei vecchi principi tedeschi di rinunciare all’eresia). È quasi un film di genere, consapevole di esserlo: e oggi è tutt’altro che una nota di demerito.
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