Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
"Kill Bill" di Quentin Tarantino è stato curiosamente diviso in due “volumi", ovvero in due lungometraggi distinti: l’iniziativa è alquanto insolita e, a mio parere, non del tutto motivata, in quanto favorisce una serialità che al cinema sarebbe meglio evitare per un testo filmico comunque unico e inscindibile, ma ha permesso al regista di far uscire il film senza tagliare molte scene che altrimenti avrebbero dovuto essere sacrificate per un problema di eccessivo metraggio. Comunque, concentrandosi unicamente sull’opera va detto che il regista cantore dell’estetica pulp e della contaminazione postmoderna lascia anche stavolta ammirati i suoi fan e non delude chi per principio non sia un fanatico delle arti marziali, dello spaghetti-western o delle atmosfere derivate chiaramente dai fumetti manga giapponesi. Ciò che lascia di stucco nel primo capitolo è il sangue che scorre a fiumi, la violenza sopra le righe ma che non disdegna effetti raccapriccianti da horror truculento, unita a una costante attenzione per i valori coreografici degli scontri e dei duelli alla spada, particolarmente nella lunghissima sequenza in cui la Sposa vendicatrice affronta e uccide un’intera banda di yakuza giapponesi prima di scontrarsi con la capobanda Lucy Liu. Nel secondo capitolo la violenza diminuisce in maniera consistente, i personaggi acquistano maggiori sfumature psicologiche (soprattutto la Sposa e Bill) e l’azione forsennata spesso lascia spazio a parentesi meditative e a dialoghi in cui affiorano toni addirittura lirici e quasi filosofici. Così, “Kill Bill” si presenta come un gigantesco agglomerato di citazioni (da Sergio Leone a Bruce Lee a Lucio Fulci, insieme al François Truffaut de "La sposa in nero", che deve essere senz'altro stato una fonte di ispirazione per la trama), come un frullatore dove Tarantino mescola con sorprendente energia creativa i toni e i generi più disparati trovando ugualmente una cifra stilistica personale e riconoscibile che riconduce a unità l’eterogeneità dei materiali e delle situazioni narrative. “Kill Bill è un film d’autore a pieno titolo, l’opera di un narratore onnivoro e instancabile che pur nutrendosi del cinema fatto dagli altri ne reinvesta continuamente le possibilità espressive con una maestria difficilmente riscontrabile nel cinema “di genere” che passa sugli schermi al giorno d’oggi. Tra le sequenze da citare, personalmente preferisco lo scontro fra Uma Thurman e la cattivissima Daryl Hannah, oltre che la lunga digressione dai toni quasi parodistici in cui la Sposa viene educata dal maestro Pai Mei alla distruzione di un muro con la sola forza del braccio. Nel complesso, un film vivamente raccomandato anche se sconsigliato agli spettatori dallo stomaco debole.
voto 8/10
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