Regia di Zack Snyder vedi scheda film
‘The dawn of the fast and furious living dead part one’.
‘28 giorni dopo’ ha rilanciato lo zombi movie, codificato da George Romero e quasi esclusivo appannaggio di quest’ultimo per molti anni. Non è stata però solo una riproposizione ma anche un rinnovamento del concetto stesso di morto vivente: non più un semplice deceduto rianimatosi con facoltà limitate e dalla lenta andatura; nella loro versione attuale gli zombie corrono come indemoniati, animati da istinti omicidi e/o cannibali. Non è la prima volta però che i redivivi hanno mostrato doti inaspettate: da ricordare ‘Il Ritorno dei Morti Viventi’ godibile divertissement artigianale anni 80’ del compianto sceneggiatore e regista Dan O’Bannon (per chi non lo sapesse, tra i suoi lavori, ha contribuito con apporto decisivo in sede di sceneggiatura al successo di ‘Alien’) in cui gli zombie addirittura parlano.
La pellicola di Zack Snyder, segue la linea di restyling del morto vivente: gli zombie di questa nuova alba sfoderano invidiabili performance ginniche, (commenterà George Romero che mentre i suoi redivivi sono stati in biblioteca quelli di Snyder invece hanno frequentato la palestra). Ma le differenze non finiscono qui, anzi: Snyder, dichiaratosi fan devoto di Romero e del film originale, gira un omaggio deferente, ponendosi su un piano di puro intrattenimento e si diverte a ripercorrere la storia dell’epidemia imprimendo una velocità tutta moderna alla consecutio degli accadimenti. Non solo i morti viventi sono più veloci, ma anche e, di conseguenza, tutti quegli eventi che nel film originale avvenivano in parecchi mesi qui si svolgono repentinamente in una ventina di giorni. Tanto basta alla moltitudine di famelici cadaveri per prevalere sui pochi viventi rimasti.
Pure le tematiche e le simbologie subiscono dei mutamenti radicali: il centro commerciale non è, come nell’originale, il luogo conteso dalle due fazioni, i morti viventi circondano l’edificio perché sono impegnati in una caccia all’uomo animati da un furioso istinto di caccia. i morti viventi di Snyder incarnano lo spettro temuto di una rabbia latente, pronta ad esplodere, che si nasconde dietro sempre più fragili strutture istituzionali e sociali E diversi pure gli espedienti di regia che ingenerano la tensione: nella pellicola del ’78 i cadaveri ambulanti sono lenti ma inesorabili, ripresi da lunghe ed insistite inquadrature, coi loro volti cerei e la fissità di sguardo, mentre si avvicinano, creano una sensazione di crescente e soffocante panico. Qui, si punta piuttosto su un andamento frenetico, le immagini degli zombi scorrono veloci, cadenzate da un montaggio sincopato, le loro azioni rapide e letali, i volti e i corpi striati di sangue, con lo sguardo vivido fissato sulle loro vittime. I superstiti sono costretti dall’orda che li incalza a trovare rapidamente un rifugio dove barricarsi frettolosamente. La sensazione perenne è di opprimente claustrofobia da stato d'assedio.
Lo stile delle immagini è patinato, quasi del tutto assente la componente splatter, rispetto alla messa in scena di Romero (curiosità: pare che il termine ‘splatter’ sia stato coniato da Romero stesso e proprio in riferimento a ‘Dawn of the Dead’), ad evidenziare l’indole più omicida-vampiresca dei nuovi zombie.
Le citazioni ed i riferimenti al modello sono comunque numerosi: tre membri del cast del film originale sono riconoscibili in brevi comparsate nei finti reportage televisivi : Tom Savini (lo sceriffo che spiega come ucciderli), Ken Foree (un telepredicatore che ripete le famosa battuta ‘quando non ci sarà più posto al l’inferno.. i morti cammineranno sulla terra’ e Scott Reiniger (il militare in comando a Fort Pastor), un negozio di abbigliamento reca l’insegna ‘Gaylen Ross’ che è il nome dell’attrice protagonista femminile dell’altra pellicola.
Snyder (che viene dai videoclip e lo si nota subito) impone dall’inizio un ritmo sostenuto: dopo un efficace prologo che semina prima suspense poi spaventi – in ospedale arriva un numero crescente ed inspiegabile di feriti, la radio informa di una serie di disordini in diverse zone del paese, anche se sembra una serata come le altre nei tranquilli sobborghi di periferia al risveglio sarà carneficina annunciata – parte, a razzo, con, sui titoli di testa, un montaggio incalzante di scene di assalti di zombie e di disperate cronache giornalistiche, mixate con spezzoni di reportage (autentici) di guerriglia urbana sulle note di una notevole canzone di Johnny Cash che, nel contesto, è tutta un programma "The Man Comes Around".
Un’infermiera, Ana (Sarah Polley), un poliziotto, Kenneth (Ving Rhames) ed un commesso, Michael (Jake Weber) insieme a pochi altri superstiti si rifugiano in un grande centro commerciale ed insieme alle guardie di sicurezza che già si trovano all’interno dell’edificio, proveranno a resistere all’assalto dell’orda dei morti viventi.
Il primo adattamento della sceneggiatura di Romero è opera di James Gunn (figura di punta del team creativo della casa di produzione indipendente di horror-trash a basso budget, Troma più conosciuto come il regista di ‘Slither’) il quale porta in dote l’irriverenza, il gusto per l’ironia sadica, per il politicamente scorretto. La scena del ‘parto’, per dirne una, è un segno distintivo del suo stile: un’aggressione feroce, beffarda, crudele al mito (e tabù cinematografico quasi intoccabile), letteralmente demolito, della famigliola americana. In seguito, sulla stesura di Gunn, interverranno Scott Frank (‘Minority Report’, ‘Get Shorty’) e Michael Tolkin (‘I Protagonisti’ Deep Impact’) , entrambi non accreditati a rifinire i personaggi e le scene di azione.
Il cast oltre ai già citati, da menzionare Ty Burrell (lo yuppie cinico ed egoista Steve) Kevin Zegers (Terry uno dei guardiani) Michael Kelly (il capo delle guardie di sicurezza, C.J., all’inizio ostile verso i nuovi arrivati) Mekhi Phifer (Andre, lo sbandato con famiglia al seguito), Lindy Booth (Nicole), Kim Poirier (Monica).
In conclusione: prese saggiamente le distanze dall’inarrivabile capolavoro, il risultato è un buon film horror che contribuisce a rilanciare un genere che è letteralmente risorto negli ultimi anni. Voto 7.
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