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Il cuore del tiranno ovvero Boccaccio in Ungheria

Regia di Miklos Jancso vedi scheda film

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La recensione su Il cuore del tiranno ovvero Boccaccio in Ungheria

di tafo
8 stelle

Dentro e fuori,in campo e fuoricampo, finzione nella finzione.

Balletto pirandelliano tra identità che mutano. Dentro e fuori, in campo e fuoricampo, finzione nella finzione. Dentro tutto è rappresentabile e nessuno è chi dice di essere, ognuno può morire per poi rientrare nel gioco, è possibile avere una madre naturale giovane, troppo giovane biologicamente e nutrire verso di lei sentimenti edipici. Le donne mostrano e si mostrano senza difficoltà e senza volgarità. La storia nella sua realizzazione tiene la realtà fuori, dentro la compagnia italiana di guitti deve svolgere il lavoro per cui è stata convocata in Ungheria, l’importante è rispettare la parte tra i vari personaggi della situazione. Nella possibile corte ungherese sembra che il regista voglia eliminare la differenza tra il palco e il sottopalco. Tra un piano-sequenza e l’altro gli attori entrano e escono dalla nostra vista senza soluzione di continuità dando la sensazione di essere sempre in campo anche quando non lo sono. La distinzione tra quello che vede lo spettatore e quello che sta ai lati o dietro la macchina da presa del nostro appare un limite dell’occhio oltrepassabile. Il film mette voglia di guardare a trecentosessanta gradi con la sicurezza di vedere attori che recitano anche prima di entrare nella scena. Il nostro sguardo è sempre parziale per natura, lo sguardo del cinema è parziale per tecnica e scelta, per il nostro tale situazione è superabile dentro la cornice di un film. Quando si esce fuori la protezione della finzione nella finzione viene meno e la realtà ritorna ad essere invisibile e fuoricampo. Tra il Borges labirintico e il Cronenberg iterativo, teoria del cinema e teatro, epica in costume e baldoria da commedia dell’arte.

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