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Un incendio visto da lontano

Regia di Otar Ioseliani vedi scheda film

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La recensione su Un incendio visto da lontano

di luisasalvi
8 stelle

Presenta all'inizio un mondo diverso, quasi capovolto, di un villaggio africano in cui gli uomini lavano i panni e le donne vanno a caccia, e gradatamente ce lo rende familiare, attraverso molti aneddoti e dettagli intimi colti con delicatezza e naturalezza; la vita del villaggio scandita da passaggi di un camion che trasporta tronchi tagliati e operai che vanno a tagliarli, a preparare l'irruzione invadente della nostra "civiltà", che ora appare assurda anche nei gesti e riti più usuali, e presentati senza deformazioni: il darsi la mano come saluto, l'obbligo di mettere o di togliere il cappello o i pantaloni e qualche abito, al variare dei posti in cui ci si reca, il documento per poter andare in città; i cristiani che si alzano e si inginocchiano meccanicamente o i mussulmani che si incurvano sporgendo in alto i sederi sono assurdi rispetto alle preghiere della tribù che chiede pioggia al suo idolo: alla fine i resti del villaggio bruciano, osservati da lontano dal regista, mentre una famiglia della tribù vive in città vendendo statuette del loro idolo. Il tutto descritto con una poesia discreta fatta di amorevole partecipazione, in cui la denunzia dell'invadenza della nostra società nasce dai fatti, senza forzature polemiche, senza retorica e senza giudizi; una malinconica descrizione più che una vera denuncia.

O piuttosto una più incisiva denuncia proprio nell’aspetto così fortemente documentario da far dimenticare e perdere di vista l’assoluta inattendibilità delle situazioni e dei fatti descritti come realistici: l’idolo pregato dalla tribù assetata fa venire la pioggia, un uomo decapitato resuscita dopo che gli è stata rincollata la testa sulle spalle, le donne remano a bordo di coccodrilli o affidano cesti di merci alla corrente del fiume che li consegna a destinazione; una vecchia soffia dietro ai suoi nemici provocando su di loro un forte vento… Ridotti in miseria, ma costretti a girare vestiti nelle città moderne, finiscono per vendere il loro idolo che faceva miracoli, assimilati e annullati nella civiltà apparente delle religioni del libro, di un Dio che crea la luce, “e la luce fu” (titolo originale del film, Et la lumière fut): quella dell’incendio che distrugge il loro paese e la loro terra, paradiso terrestre da cui sono scacciati senza colpa. Il riferimento è ovviamente ad altro, ma forse le assurdità descritte suggeriscono che un vero paradiso terrestre non esiste se non nei ricordi di chi l’ha perduto…

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