Regia di John Fawcett vedi scheda film
Affrontando un ciclo produttivo non privo di grosse difficoltà finanziare, il regista canadese John Fawcett era intento a realizzare un horror sulla metamorfosi che avrebbe “reinventato” il genere. Forte di immagini gore raccapriccianti e un linguaggio politicamente scorretto, “Ginger Snaps” parla di due sorelle, Brigitte (Emily Perkins) e Ginger Fitzgerald (Katharine Isabelle), che, vivendo in una condizione di quasi isolamento, e sviluppando una passione morbosa per la morte (ripetono spesso una sorta di mantra secondo cui dovrebbero soccombere insieme), consumano le giornate girando dei videoclip funerei inclini alla necrofilia. Quando mettono in atto il tentativo di rapimento del cane di una rivale del liceo, le sedicenni vengono attaccate da un animale enorme che assomiglia molto a un lupo. Nella colluttazione Ginger rimane ferita ma, trascinata a casa da Brigitte, le ingiurie guariscono in maniera inspiegabilmente rapida: comincia un processo di trasformazione del corpo, la quale, in concomitanza col primo ciclo mestruale, pare che stia facendo mutare la giovane teeneger in una creatura vorace e pericolosa. Toccherà a Brigitte cercare di salvarla, grazie altresì all’aiuto del pusher Sam (Kris Lemche) e le relative conoscenze della botanica per preparare un siero purificatore. Mettere a bada gli istinti omicidi di Ginger, però, si palesa sempre più difficile… A dire la verità l’inizio di “Ginger Snaps” non si mostra promettente: le interpretazioni sono un po’ farraginose, il ritmo è incerto e le maschere di contorno indispongono per la loro piattezza. Dopo la iattura dovuta all’aggressione ai danni di Ginger la perniciosa alchimia tra la Perkins e la Isabelle assume nondimeno connotazioni sferzanti, fino ad erigere, progressivamente, una lancinante metafora della pubertà femminile, che qui viene chiaramente associata a quella delle bestie. Il tema sulla licantropia non è causale; la natura di Ginger cambia radicalmente, drasticamente: vittima di un destino funesto, non può controllare la sua alterazione fisica (e psichica). Il legame con Brigitte si deteriora considerevolmente, in quanto, in seguito al primo approccio sessuale, diventa maggiormente provocante ed estroversa. Notevole, in questi frangenti, la prestazione attoriale della Perkins: gli occhi infossati, lo sguardo torvo e la postura goffa le danno una parvenza credibile, nonostante l’atteggiamento impacciato e vagamente fastidioso che lascia intuire nell’avvio della storia. Anche la Isabelle trapela quel miscuglio di eccitazione, spavento e concitazione in grado di rendere tangibili le reazioni irruenti nel corso della dolorosa mattanza. Convincente pure il ruolo di Lemche, il quale, malgrado l’aspetto da “belloccio”, si rivela un buon caratterista. Le défaillance del plot vanno invece riscontrate nei dialoghi sciatti con sagome piuttosto enfatizzate come la madre ultra-permalosa (Mimi Rogers, non esattamente l’ultima delle scelte di casting) o l’infermiera scolastica improbabile, e nella scena del piercing, pezzo fuori luogo e di cattivo gusto (forse per una volta andrebbe consigliata la versione censurata?). E il lato tecnico? Be’, si alterna un’estetica paratelevisiva quasi amatoriale con delle riprese contrassegnate da un’illuminazione dal contrasto intenso e degli angoli di camera perspicaci, i quali, attraverso un montaggio funzionale, nascondono in modo intelligente i limiti degli effetti speciali e del trucco (comunque pregevole l’animatronic del mostro). Quantunque imperfetto “Ginger Snaps” merita il suo appellativo di cult underground: tenebroso e cruento, inocula argutamente una satira spigolosa e sinistra sul passaggio all’età adulta.
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