Regia di Mel Gibson vedi scheda film
Bastava poco: se Gibson si fosse limitato a mostrare il martirio di un condannato al di fuori della religione poteva anche funzionare, così invece non è altro che un'opera senza il disegno d'amore di Cristo, puntando non alla compassione quanto allo sdegno che si ripercuote pericolosamente in un messaggio politico che è tutto tranne che cristiano.
Ecco un film difficile da affrontare, particolarmente qui in Italia ove risiede il cuore della religione cristiana ed ebbe, come era da aspettarsi, un coro di voci e una nomea che lo resero uno dei più grandi guadagni del 2004, al punto tale che anche adesso viene ritrasmesso durante le vacanze di Pasqua da almeno una emittente televisiva.
Togliendo momentaneamente tutti i pregi e le critiche rivoltogli c'è da ammettere che porre un regista reazionario come Mel Gibson di fianco alla figura di Gesù Cristo più che un azzardo è decisamente un errore.
Il cinema di Gibson non sarebbe neppure così male, la sua visione conservatrice epico-tragica accompagnata dall'iper-violenza può funzionare per un certo tipo di film (si guardi "Apocalypto" ma soprattutto "Braveheart"), ma non in un film sulla passione di Gesù.
Vi sono alcuni lati positivi in tutto ciò: qualche critico elogiò la body-art e la violenta odissea di un condannato a morte che grazie alle percussioni subite senza censure ci rende benissimo il senso di sacrificio inteso come martirio, quel senso stretto del termine che i monaci antecedenti al "Concilio Vaticano II" tanto strenuamente difendevano e predicavano, però, proprio come nella frase precedente tutto ciò non si può applicare a Gesù Cristo, non perché sia scandaloso o peccaminoso, ma per il suo essere retrogado e per la perdita di tutta l'ideologia pacifista e del concetto di pietas cristiana.
Gibson qui fa l'esatto contrario di Tolkien: se lo scrittore sudafricano, riprendendo la poetica del "Beowulf", toglie qualsiasi religione dal suo mondo fantasy lasciando però intatte tutte le nozioni positive del cristianesimo nei suoi personaggi principali (quali Aragorn nel "Signore degli Anelli" ecc...), Gibson toglie tutta la concettualità gettando Gesù in un tritacarne.
La Passione infatti ha un senso se inquadrato nel percorso filosofico di Cristo, così no.
Certo, la performance fisica come detto prima è indiscutibile, le scenografie realizzate nei pressi della nostra Matera sono suggestive e ben inquadrate nell'ottica epopeica di Gisbon come pure la scelta di usare l'aramaico dando così un bel lato filologico alla vicenda, ma il resto è tutto da bocciare.
La regia di Gibson è farcita di continui rallenti quasi messi apposta per autocompiacersi della sua opera di maniera; inoltre a che pro usare la macchina da presa in un modo così integralista e potente? Tutto diventa scomodo ed eccessivamente radicale.
Altro che il bellissimo film di Pasolini ("Il Vangelo Secondo Matteo") o il dubbio spirituale di Scorsese ("L'Ultima Tentazione di Cristo"), questo è un arroccamento assoluto nelle proprie convinzioni.
Come se a Gibson non bastasse ha pure il cattivo gusto di porre messaggi propagandistici, i quali, per chi conosce anche un po' del Gibson fuori dagli schermi sa benissimo di cosa stia parlando.
Bastava poco: se Gibson si fosse limitato a mostrare il martirio di un condannato al di fuori della religione poteva anche funzionare, così invece non è altro che un'opera senza il disegno d'amore di Cristo lasciando una cornice di sofferenza, violenza e persino volgare in alcune sequenze, non puntando alla compassione ma allo sdegno che si ripercuote pericolosamente in un messaggio politico che è tutto tranne che cristiano.
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