Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Questa era a volte la TV neanche troppi anni fa... cioè anni luce da quella di oggi. Il maestro svedese gira un'opera originale e ricchissima, con uno stile pacato, quasi lento, che pure non provoca un attimo di noia. Tra gli elementi di originalità c'è sicuramente anche la compenetrazione, dalla distinzione spesso incerta, tra realtà, fantasia e soprannaturale: sogni, visioni, fantasmi, allucinazioni... Non si può definire un'opera fantasy o fiabesca, perché il tono è completamente diverso da quel genere. Le visioni infatti sono presentate sottotono, solo con una leggera trasfigurazione onirica, che ne rende incerta l'origine. Vi sono anche una serie di strani e bizzarri personaggi, difficilmente inquadrabili. Il mistero che circonda questi fenomeni, però, non infastidisce ma affascina.
Tornando al film nel suo insieme (si può sicuramente parlare di cinema per la TV), è scritto e girato molto bene. I dialoghi, e persino i lunghi monologhi, sono sempre interessanti e non mi hanno mai annoiato. Lo stile di ripresa è tranquillo ma rigoroso, senza vezzi tecnici ma preciso e puntuale. Qualche volta ci sono una specie di piani sequenza, cioè spezzoni abbastanza lunghi senza stacchi, magari con la cinepresa posta lontano dai personaggi. Eppure eppure... il grande Bergman sa farli funzionare alla perfezione, e il film scorre fluido e senza incappare in pozze stagnanti.
Quanto a tematica, "Fanny e Alexander" narra le vicende di una grande famiglia svedese di direttori e impresari teatrali, che partecipano molto alla realizzazione degli spettacoli, non dandogli un'occhiata ogni tanto o solo fornendo i finanziamenti. Il regista mostra i ritrovi familiari, i pranzi e i rapporti della numerosa parentela, ciascuno di essi con i propri problemi e le proprie miserie umane. I due bambini sono i catalizzatori o lo spunto per mostrare tanti personaggi; forse infatti non si può parlare di veri protagonisti. Comunque nella prima parte Bergman, se da una parte mostra la sostanziale unità della famiglia e l'affetto che ne lega i membri, dall'altra fa vedere senza pietà i lati meno belli di ciascun personaggio. Della loro vita si ha un immagine quasi a doppia moralità: nel nascondimento quasi tutti hanno i loro vizi e i loro segreti, i loro egoismi e le loro debolezze (specie sessuali e affettive).
Un personaggio importante che forse è il più scavato dall'autore è quello del vescovo luterano: uomo mellifluo nei modi, ma gelido e persino crudele nei fatti. La sua severità non è preoccupazione per il bene dai bambini, ma sottile crudeltà di cui egli stesso forse non è consapevole. E' uno di quegli uomini che predicano un vangelo da loro rielaborato in un freddo e legalistico insieme di norme comportamentali, i quali non entrano nella sapienza e impediscono agli altri di entrarvi (Luca 11,52). In lui non è difficile vedere adombrato il vero padre di Bergman, probabilmente resaponsabile del suo non riuscire a credere in Dio. Alla fine sembra quasi che il cuore di ghiaccio del vescovo si sciolga, ma è solo disperazione e rabbia, e non pentimento. In generale, comunque, è un personaggio tagliente che mette i brividi.
Anche in questo film, come in quasi tutti del maestro svedese, compare il tema del silenzio ostinato, qui persino beffardo, di Dio.
Forse non è per tutti i gusti, ma per chi ha la pazienza di calavisi dentro, è un'esperienza cinematografica unica, che testimonia la statura morale e umana di chi lo ha creato. PS: doppiaggio eccellente diretto dal grande Pino Locchi.
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