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Fanny & Alexander

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Fanny & Alexander

di LAMPUR
8 stelle

 

Un'epopea familiare dalle innumerevoli facciate, innestate su di un plot di stampo elementare ma dall'evolversi, anche, rudemente scomposto. Di base, sradicamento di due ragazzi dalla famiglia d'origine ed innesto in contesto dai contorni ostili. E l'analisi la voglio gestire da profano, sulla scorta di sensazioni immediate, freddo/caldo  sorpresa/noia, porgendo il fianco alla bastonatura di amanti ed esperti. Intanto mi chiedo quanto incida nell'economia della storia, se non per l'eleganza che conferisce al  titolo, l'accessoria Fanny,  sorellina del decisamente più turbato ed autobiografico Alexander, protagonista di deliri onirici e fantasiose - chissà quanto poi - fantasie.

Un bambino che vede spettri e di altri ne narra, sballottato assieme alla sorella appendice da una casa all'altra, da una vita all'altra, fino a maledire l'impotenza di un Dio che agisce e castiga scriteriatamente, e affidandosi alla Fantasia, infine, estremo baluardo contro l'egoistica cecità adulta, sino a che un ebreo amico di famiglia, maestro di marionette, non s'ingegnerà in magheggi di varia natura, per ridestinare fratello e sorella ad una vita meno disagiata.

Provengono da una famiglia di teatranti i due, estro ed immaginazione, come del resto disordine e promiscuità, sono all'insegna di vita di una Grande Famiglia prevalentemente matriarcale – e dalle spiccate personalità femminili -,  aperta e creativa, artistoide e  tollerante, il tutto calato in un ordito filmico dove gli uomini spesso appaiono più che altro figuri, loschi o mezzi, anche quando impersonano, come nel caso del Vescovo Vergerius, spiccate personalità deviate (l'avremmo visto bene nel bellocchiano L'ora di religione).

C'è anche goliardia nel film, spensieratezza, o perlomeno voglia di stupire, con virate nel surreale apparentemente fuori luogo, o nell’occulto, in atmosfere spesso tese ad evocare la sdrammatizzazione del “tormento”,  marchio di fabbrica bergmaniana, ma soprattutto voglia di spaziare a briglia sciolta, perché, tratto da Il sogno di Strindberg ed a pieno supporto della storia, il regista tiene a ribadire per mezzo di Emilie, mamma di Alexander: “Il tempo e lo spazio non esistono. Su una base insignificante di realtà l'immaginazione fila e tesse nuovi disegni.”

Cosi il fratello di Fanny è l'atipico eroe del film, muove i fili e dipana fantasie dal suo innocente punto di vista.

E Bergman è al telaio, signori. Che giochi o meno, non resta che stupire senza fare troppe domande. 

 

 

 

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