Regia di Roberto Bianchi Montero vedi scheda film
Ciccio, siculo senza arte né parte, sogna di entrare nella famiglia mafiosa di don Calogero. Quando la figlia di quest'ultimo rimane incinta di un fuggitivo, Ciccio ha l'occasione di entrare per lo meno nella famiglia reale del boss, sposandone la figlia con una sorta di matrimonio riparatore.
Farsetta squinternata basata sui soliti, noiosi stereotipi machisti e mafiosi, Calore in provincia è uno dei tanti rimaneggiamenti in chiave sicula dei canonici spunti barzellettistici che muovevano la commedia popolare nostrana dell'epoca, sempre più invischiata in argomenti pruriginosi e toni scandalosi. Ciò è confermato anche dal titolo, che promette quanto in fondo in fondo neppure mantiene: perché la pellicola è tutto tranne che un coacervo di erotismo e, a parte qualche scenetta vagamente sexy con nudi femminili, c'è poco da vedere sotto quel profilo. Ma c'è poco da vedere in generale, d'altronde: la sceneggiatura di Antonio De Donno non va da nessuna parte e la regia di Roberto Bianchi Montero è debitamente svogliata; i dialoghi fanno continuamente cadere le braccia (consiglio per chi si accinge alla visione: non raccoglietele la prima volta, eviterete di doverlo fare a ripetizione per i successivi ottanta minuti) e gli interpreti – anche quelli un minimo quotati – non salvano in alcun modo la situazione. Tra gli elementi del cast artistico: Valeria Fabrizi, Enzo Monteduro, Venantino Venantini, Patrizia Gori, Carla Calò, Francesco Mulè, Angela Covello; le musiche sono di Carlo Savina e il montaggio di Otello Colangeli, a testimonianza che un minimo di budget presumibilmente c'era. Ma l'intenzione di buttarsi a capofitto sul becero, sul terra terra, sul caricaturale ha prevalso su tutto, senza ombra di dubbio. 2,5/10.
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