Regia di Mario Bava vedi scheda film
Un Bava minore (per via di una pessima sceneggiatura), in grado di sopperire a una trama incredibile (una pergamena rievoca il fantasma di un crudele despota e una medium invoca l'aiuto di una "strega") e a una recitazione davvero scadente, con una notevole tecnica cinematografica e una fotografia di livello superiore.
Peter Kleist (Antonio Cantafora), raggiunge a Vienna lo zio Karl Hummel (Massimo Girotti) con l'intenzione di visitare il castello di Otto Von Kleist, antenato vissuto nel XVI° secolo, soprannominato per la sua brutalità "Barone Sanguinario" e morto durante un incendio in circostanze misteriose. Durante una prima visita al maniero conosce Eva Arnold (Elke Sommer), studentessa d'architettura che sta supervisionando alcuni lavori di restauro. In seguito Peter mostra allo zio una pergamena attribuita a Elisabeth Hölle, una strega torturata e uccisa dal Barone Sanguinario; vi sono impresse due formule: una per attuare il ritorno in sembianze umane di Otto Von Kleist (al fine di fargli rivivere la sofferenza provocata alle sue vittime); l'altra con la funzione si ricacciarlo nel regno dei morti. Per scherzo Peter e Eva si recano di notte al castello, recitando la formula per riportare in vita Otto Von Kleist.
"Le barriere del tempo e della morte non esistono: il tempo e la morte non finiscono mai ..."
(Christina Hoffmann)
Una trama risibile, con personaggi del tutto incredibili e attori a dir poco svogliati (a cominciare dal personaggio di Peter, proseguendo con quello di Eva per finire con l'interpretazione di Cotten, apparentemente incredulo di trovarsi sul set), sta alla base di questa modesta coproduzione gestita da Alfred Leone (in compartecipazione con Dieter Geissler e Samuel Z. Arkoff), che segue lo sfortunato (per via di problemi con la censura) Quante volte... quella notte (1969). Al solito Bava si trova costretto a lavorare su una pessima sceneggiatura (scritta da Vincent Fotre), ma sopperisce alla futilità della narrazione puntando a rendere autonome, pur prive di senso organico, brillanti sequenze visionarie e autocitazioniste (filmando divertiti rimandi a La maschera del demonio e 6 donne per l'assassino). Con il supporto alla fotografia del fidato Antonio Rinaldi, Bava sperimenta con gelatine per dare suggestive tonalità al colore e utilizza filtri deformanti rendendo graficamente accattivante un film dal contenuto inesistente; punta a realizzare brillanti movimenti di macchina, ricorre allo zoom con destinazione finale (o iniziale) a sfocatura e conferma il ruolo di bambina inquietante che segnerà il destino cinematografico di Nicoletta Elmi (bambina resa celebre da Argento in Profondo rosso, ma scoperta dal cineasta sanremese nel precedente Reazione a catena). Se il ruolo di Luciano Pigozzi (il Peter Lorre italiano), al pari di quello attribuito a Umberto Raho, delude non meno dell'insignificante intreccio narrativo, memorabile e assolutamente degna di visione appare la lunga e suggestiva scena che vede Rada Rassimov nel ruolo della sensitiva Christina Hoffmann, intenta ad evocare lo spettro di Elisabeth Hölle. Qui sta il genio visionario e inimitabile del regista - non inferiore al talento tecnico - capace di passare dal clima sarcastico (che si avverte sino a quel punto) a quello macabro senza soluzione di continuità.
Curiosità [1]
"Il nome di Alfred Leone, in qualità di produttore esecutivo, si era già coniugato con quello di Mario Bava in occasione dello sfortunato Quante volte... quella notte (1969), film rimasto bloccato alcuni anni per problemi di censura. Nel 1972 Leone si offrì di produrre al regista un nuovo film, un horror da ambientare nei dintorni di Vienna, sfruttando un castello medievale come location. La sceneggiatura è una compilazione di tutte le situazioni tipiche del gotico italiano: maledizioni stregonesche, un barone sanguinario che risorge dalla tomba, pergamene magiche e camere di tortura attrezzate con ordigni terribili. Ma la storia, come al solito, interessa poco o nulla a Bava, che concentra invece tutte le sue energie nell'esecuzione e ci offre una delle sue opere stilisticamente più accurate. Moltissime anche le autocitazioni, che spaziano da La maschera del demonio (la morte per impalamento nella vergine di Norimberga che rimanda alla tortura della maschera con gli aculei imposta ad Asa) fino a Ercole al centro della Terra, dove ricorrevano degli 'zombi' come il Barone von Kleist. Nella raffigurazione di quest'ultimo si è poi notata una stretta analogia con il trucco del mostro che compare in La maschera di cera di André De Toth (1953). Gli interpreti guardano al mercato internazionale, con Joseph Cotten ed Elke Sommer (Bava la richiamerà per il successivo Lisa e il diavolo, sempre prodotto da Leone) come primi nomi in cartello, mentre il resto del cast comprende Antonio Cantafora (diventato poi famoso come sosia di Terence Hill, con lo pseudonimo Michael Coby), Alan Collins (ovvero Luciano Pigozzi), il 'Peter Lorre' italiano, Nicoletta Elmi (che Dario Argento utilizzerà come bimba demoniaca in Profondo rosso) e Rada Rassimov, sorella di Ivan Rassimov, nel ruolo di una strega arsa sul rogo in una delle sequenze più suggestive di tutto il film."
Critica
"Gli orrori del castello di Norimberga, pur nella convenzionalità della trama, rappresenta un compendio dell'idea di cinema espressa da Mario Bava: luce, colore, profondità di campo, piano-sequenza, senso dell'ironia. Nel girato in interni, Bava e Antonio Rinaldi, uno dei collaboratori più fidati del regista, allestiscono un vero e proprio atelier della luce, col tipico gusto per i colori saturi e per la sovrapposizione di ombre dense su sfondi vividi, in armonia con lo stato psicologico dei personaggi. Gli ambienti del castello assumono una malefica vitalità propria; le mura, riscaldate improvvisamente da riflessi a dominante giallastra, sembrano rivivere e palpitare delle sofferenze patite dagli sventurati che in quelle stanze trovarono la morte. Le capacità tecniche di Bava trovano nel binomio piano-sequenza/profondità di campo lo strumento ideale per raccontare l'orrore delle situazioni, l'espediente preferito per raccontare, parallelamente alla deformazione ottica operata dagli obiettivi grandangolari, la distorsione della realtà, indotta dall'intervento delle forze soprannaturali. Diverse le sequenze che, senza interruzioni, iniziano con il protagonista sullo sfondo dell'inquadratura, e proseguono avvicinando il fulcro dell'azione alla poltrona della sala cinematografica; Bava sovrappone lo spazio ed il tempo del racconto con quello dello spettatore, lo prende per mano, lo inserisce suo malgrado nel contesto narrativo, e lo accompagna a vedere da vicino l'angoscia del protagonista, ormai giunto ad occupare il primo piano dell'inquadratura. Ma senza darsi troppe arie: lo sguardo sardonico del sessantasettenne Joseph Cotten è sempre lì a ricordarci che è tutto un gioco, che non si fa sul serio: nulla è quello che sembra, i vivi sono già morti e i morti risorgeranno. Anche sul versante narrativo, la sceneggiatura di Fotre supporta il pensiero di fondo del cinema horror di Bava: il Male è una forza che nasce dal nulla e non muore mai. Esso si rigenera, può essere temporaneamente sopito ma non cancellato, trasmigra incarnandosi in una nuova veste, e nel frattempo richiama nuove forze malvagie ad alimentare la propria esistenza. Ma la potenza evocativa di Bava non nasce dall'intreccio della narrazione, quanto dalla raffigurazione del Male stesso. La logica maligna è una logica tortuosa: ecco allora la cura spasmodica nella composizione delle inquadrature costruite sui mille dedali offerti dal castello von Kleist. Rampe contorte di scale che si intrecciano, sprofondano nel suolo, si elevano a spirale, e che richiamano le simmetrie assurde di Escher come le grafiche architettoniche di Piranesi: modelli certi per il regista, ex studioso di pittura. Dalle sovrapposizioni di chiari e di scuri Bava, come uno scultore, trae materia plastica necessaria alla creazione immateriale del sentimento della paura."
(Umberto Martino) [2]
Visto censura [3]
Termometro della scarsa dose di contenuto horror e thriller, nel febbraio 1972 in censura Gli orrori del castello di Norimberga passa indenne, senza tagli e con divieto ai minori di anni 14.
Metri di pellicola dichiarati: 2850 (104' ca a 24 fps).
Sinossi estratta dal verbale allegato al nulla osta
Attenzione: SPOILER
"Kleist, un giovane americano, viene a passare le vacanze in Austria, suo paese d'origine; lo riceve all'areoporto uno zio materno, il professor Hummel. Lasciata Vienna, proseguono in macchine verso la cittadina di Kruzenstein sede di una vecchia università dove lo zio ha una cattedra. Lungo la strada passano sotto un castello che domina una vallata e si fermano ad ammirarlo; il giovane ne è affascinato. Egli è l'ultimo di scendente del barone Von Kleist, fondatore della dinastia: ancor oggi la fama sinistra delle sue malefatte aleggia sulla valle. L'attuale proprietario, Herr Dortmund, sta trasformando il castello in albergo, assistito nei lavori da Eva Arnold, una studentessa in architettura. Kleist fa la conoscenza dei due. A cena, a casa del dottor Hummel, Peter si interessa della vita del suo antenato, il barone Von Kleist, e fa vedere a Eva una pergamena che ha portato con sè, scritta da Elisabeth Hölle, una strega fatta uccidere dal barone. La pergamena contiene un esorcismo per riportare in vita il barone affinchè possa rimorire soffrendo pene sempre più tremende. Peter convince Eva a seguirlo nel castello per tentare l'esorcismo. Durante la visita, si verificano dei fenomeni strani, si sente una presenza misteriosa dalla quale Eva rimane terrorizzata. E quando Peter vuol leggere nella pergamena la seconda parte dell'esorcismo si accorge che la carta è volata nel camino acceso in seguito a un forte colpo di vento. Escono dal castello profondamente turbati. Nei giorni che seguono viene ucciso un dottore e il proprietario del castello, Herr Dortmund, viene trovato impiccato. La polizia sospetta un certo Fritz, un vagabondo che spesso si aggirava nei dintorni del castello, ma questi è scomparso. Il castello, posto all'asta, viene acquistato da un certo signor Becker che nessuno conosce. Questi decide di riportare il castello ai suoi splendori originari ed Eva collabora con lui alla ricostruzione. Altre persone vengono misteriosamente uccise. Peter, Eva e il dottor Hummel si recano da Christina Hoffmann, una discendente di Elisabeth Hölle e come lei pratica di stregoneria, la quale, in trance, rivela che per impedire che il barone compia altre stragi è necessario che egli sia distrutto dalle stesse persone che ha ucciso. La sera stessa Eva viene aggredita dalla presenza misteriosa e riesce a salvarsi a stento rifugiandosi in casa del professor Hummel: e la notte medesima Christina Hoffmann viene uccisa. Ormai il castello è stato restaurato e il signor Becker invita Peter, Eva e il professor Hummel a visitarlo. Ed è in tale occasione che il signor Becker rivela improvvisamente ai tre di essere lui il barone Von Kleist. Ogni tentativo di fuga è inutile e i tre amici si trovano alla mercè del mostro il quale ha deciso di ucciderli. Ma un sortilegio provocato da un antico amuleto appartenuto a Elisabeth Hölle fa tornare in vita i corpi straziati delle persone uccise dal barone le quali spezzano definitivamente l'incanto uccidendo il barone stesso, mentre Peter, Eva e il professor Hummel fuggono attraverso i corridoi del castello."
NOTE
[1] Dal booklet allegato al DVD RaroVideo.
[2] "Mario Bava - Il rosso segno dell'illusione" (Sentieri Selvaggi), pag. 155, 156, 157.
[3] Dal sito "Italia Taglia".
"Il colore di un oggetto o quello del suo imballaggio possono avere un'importanza considerevole. [...] il colore influenza l'eventuale cliente, sia attirandolo, sia disgustandolo. [...] Il colore assicura prima di tutto uno shock psicologico il cui primo effetto è importante."
(Maurice Déribéré)
Trailer
F.P. 30/05/2024 - Versione visionata in lingua italiana, DVD RaroVideo (durata: 93'50")
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