Regia di John Frankenheimer vedi scheda film
"It's a great game, the pursuit of happiness" (E' un gran bel gioco la ricerca della felicità).
New York, una sera d’estate del 1912. In una squallida bettola si ritrovano una serie di personaggi, derelitti, sbandati, falliti, tutti accomunati dalla dipendenza dall’alcol. C’è il padrone della locanda, il vecchio Harry Hope (Fredric March) che sta per festeggiare il suo compleanno e che non esce più di casa da venti anni, da quando è morta la tirannica moglie. C’è l’ex anarchico Larry Slade (Robert Ryan), che ha lasciato il Movimento ed è ormai diventato un vecchio filosofo stanco e disilluso, che attende solo che arrivi la morte. C’è il giovane Don Parrit (Jeff Bridges), figlio della ex amante e compagna di lotta di Larry, che nasconde qualcosa da farsi perdonare. Ci sono anche un barista di origine italiana, un altro vecchio anarchico perennemente ubriaco e accasciato al bancone, un ex studente di legge fallito, due ex militari, un vecchio giornalista, un corpulento sbirro corrotto, un nero che gestiva una casa da gioco e tre prostitute. Tutti quanti aspettano con trepidazione che arrivi Hickey (Lee Marvin), commesso viaggiatore rappresentante in ferramenta, che due volte all’anno si reca lì per farsi una sbronza e per dar fondo a tutti i suoi soldi. Appena arrivato, Hickey sbalordisce tutti dicendo loro che ha smesso di bere e che è tornato con l’intenzione di salvarli e di portarli verso la retta via.
The Iceman Cometh è la trasposizione cinematografica dell’omonima opera teatrale di Eugene O’Neill del 1940, tradotta in Italia come Arriva l’uomo del ghiaccio. Il testo di O’Neill era di per sé molto complesso e stratificato, e toccava varie tematiche quali l’alcolismo, la politica, le sconfitte personali, l’(auto)isolamento. John Frankenheimer, insieme allo sceneggiatore Thomas Quinn Curtis, opera una scelta coraggiosa e decide per un adattamento integrale, realizzando un’opera che sfiora le quattro ore di durata. The Iceman Cometh è, come si suol dire in questi casi, “teatro in scatola”: c’è il rispetto delle unità di tempo e di luogo, le riprese si focalizzano su campi stretti intorno ai personaggi che agiscono e, raramente, in campi larghi che riprendono la collettività. Tutto il film è ambientato all’interno di una triste stamberga, definita “l’osteria delle occasioni perdute, il bar dell’ultimo strato geologico, il caffè del capolinea, l’ultimo rifugio”. Il tema non è tanto quello dell’alcolismo, del quale tutti i personaggi sono (o sono stati) schiavi, bensì quello dell’illusione. Quando Hickey (l’uomo del ghiaccio del titolo) arriva, annuncia ai propri amici di volere liberarli dalle illusioni, che “rovinano l’esistenza di un uomo impedendogli di trovar la pace”. Ma è una vana speranza, che si scontra con la dura realtà di un microcosmo desolato, nel quale si rifugiano una serie di personaggi terrorizzati dal confrontarsi con il mondo esterno. E proprio Hickey si rivelerà il più tragico dei personaggi, l'unico che ne uscirà sconfitto e che, fin dalla sua apparizione, "si porta la morte addosso". Gli attori sono tutti perfetti: spiccano naturalmente quelli principali, con un Lee Marvin bravissimo e camaleontico, il vecchio Fredric March ed un Jeff Bridges già talentuosissimo. Ma su tutti svetta un Robert Ryan triste e dolente, alla sua ultima interpretazione: quasi sempre seduto per nascondere la stanchezza, Ryan delinea il personaggio più malinconico dell’intera opera, un uomo che affoga nell’alcol le sconfitte degli ideali e le delusioni per un amore perduto, e per il quale “il sonno è buono, migliore è la morte, ma meglio di tutto è mai non esser nati”. The Iceman Cometh non è mai stato distribuito in Italia; anni fa la Rai ne ha trasmesso la versione originale sottotitolata. Difficile da recuperare, ma ne vale davvero la pena.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta