Regia di Mario Bava vedi scheda film
Il maestro dell’horror italiano (solo?) Mario Bava nel 1971 girò un film diametralmente opposto ai suoi precedenti e ai suoi contemporanei (Argento, Fulci, Martino…). Di primo acchito potrebbe essere considerato alla stregua del filone esploso con Dario Argento (la tecnica, l’inventiva del genere), non è così. Violento, moralistico e a tratti splatter. La trama gialla è inesistente, non c’è un assassino da ricercare né commissari e personaggi che gioco forza si improvvisano detective, qui si va per scacchiere o quadri apparentemente sconnessi. Si è parlato di “scrittura in acido”, la risposta è nei vari nomi che hanno scritto soggetto e sceneggiatura, i quali non corrispondono tra loro. Una serie di “punti di vista” differenti assemblati e messi per immagini dall’ottimo Mario Bava. Una decina di delitti efferati in cui fin dalla prima vittima la morte viene sadicamente ripresa nell’ultimo istante e sospiro. Tutto ruota intorno ad una baia in cui si vuole speculare (eredità ed edilizia), i personaggi vengono ritratti come “coleotteri, insetti, cinici e senza morale”, qualche barlume di umanità viene concessa alla contessa e a Simone (familiarmente legati). La trama potrebbe anche fermarsi alle prime parole, ogni sceneggiatore e soggettista ha dato un’idea, uno spunto, una citazione letteraria e il titolo del film in lavorazione “E così imparano a essere cattivi” è inequivocabile a tale proposito. Ironico e comprensibile solo alla fine, come vogliono le regole del genere. I successivi titoli REAZIONE A CATENA. ECOLOGIA DEL DELITTO sono banali e strizzano l’occhio al mercato. La pellicola è da considerarsi un unicum, si discosta dalle altre dei colleghi sopraccitati (sia chiaro tutti suoi eredi), il talento di Bava forse consisteva semplicemente anche in questo sapersi distinguere. Inusuali persino le musiche firmate da Stelvio Cipriani, come d’altronde il cast formato da attori di serie A quali Leopoldo Trieste, Laura Betti, Luigi Pistilli affiancati ad altri sfortunati ma di razza come Claudio Volontè. Certo il ghigno beffardo di Nicoletta Elmi non è solo fantastico ma è la miglior chiosa del regista stesso.
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