Regia di Andrea Adriatico vedi scheda film
Dopo corti e medi dai titoli che tradiscono urgenze riflessive e impegni non banali (Anarchie, quel che resta di liberté, égalité, fraternité, L’auto del silenzio, Pugni e su di me si chiude un cielo...), e parallelamente alla fatica quotidiana di regista teatrale, fondatore dei bolognesi Teatri di Vita, Andrea Adriatico esordisce nel lungometraggio con un film notturno macchiato di profonda sofferenza e dolore. Un uomo viene ucciso davanti il portone di casa. Un altro uomo viene eliminato in quanto testimone involontario dell’accaduto. Il primo omicidio (dove compare in un cameo, tanto estemporaneo quanto preciso ed essenziale, Ivano Marescotti) si rifà alla tragica eliminazione, da parte delle Brigate Rosse, di Marco Biagi; il secondo è il pretesto narrativo di cui gli autori (oltre ad Adriatico, Stefano Casi) si servono per decantare e accompagnare la difficilissima elaborazione del lutto del protagonista, compagno di vita del testimone trucidato. Farfugliando per strade, piangendo sui banconi dei bar, camminando senza mete e raccogliendo i cocci di un puzzle già fragile distrutto in un istante («Basta un soffio di vento a farci volar via» si legge nell’incipit firmato Bernard-Marie Koltès), Paolo tenta di razionalizzare ciò che non può rientrare nella logica. Un film di pura regia, soffocato e orgoglioso, che ha il suo tallone d’Achille nella recitazione di Corso Salani, un autore non-attore, francamente impossibilitato a reggere un ruolo di siffatta difficoltà. Ancora una volta, nel giovane cinema indipendente italiano, la recitazione - tranne rarissimi casi - è un optional. Quando altrimenti, dovrebbe essere lo strumento per comunicare quelle emozioni che gli autori vorrebbero far diventare degli spettatori.
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