Regia di Anne Riitta Ciccone vedi scheda film
Non c’è un unico posto per chi è diviso a metà. E’ una verità che non ha tempo, a prescindere dall’ennesimo ritorno agli anni Settanta anche nel secondo film della regista italo-filandese Anne Riitta Ciccone, L’amore di Marja.
Infatti, anche nel primo lavoro della Ciccone, Le sciamane, ci si muoveva a ridosso di una stagione temporale identificabile con gli stessi anni della contestazione femminile per la libertà, per il diritto della donna ad avere un suo posto all’interno della società e, in essa, della famiglia.
L’amore di Marja si pone, quindi, in continuità col pensiero di fondo della regista, fra l’altro preso in prestito da una sua opera teatrale (Amarsi da pazze).
Tutto ha inizio dal trasferimento di una famiglia di sangue finlandese-siciliano nella terra d’origine di Fortunato, la Sicilia. Dopo una riconoscente accoglienza dei compaesani nei confronti del solo padre(padrone), altra sorte attende, invece, la madre e le figlie.
In quegli anni, da Palermo ad Aosta, parlare di libertà sessuale, di parità nella coppia, d’indipendenza e privacy al femminile era un vero tabù. Perciò, Marja (la bellissima e bravissima Laura Malmivaara) da subito non vede alcuna possibilità se non quella di obbedire e reprimere la sua dignità d’essere donna, madre e, per giunta, innamorata. Insieme a lei, anche le due figlie vedono un mondo diverso, non solo geografico, rispetto al paese d’origine: cambiano i tempi, la cucina e gli orari dei pasti, ma soprattutto cambia la con-vivenza con le persone, anche con le più vicine, disposte solo ad essere un costante controllo per l’intera famiglia. Allora Marja preferirà fuggire in un mondo tutto suo, immaginario, “un mondo sommerso”, in cui interpreterà il ruolo della spia dell’interpool. Le sue giornate avranno come compagni(nemici) di viaggio il pescivendolo del mercato vicino casa, il portiere, il barista e tanti altri attenti solo alle ‘forme’, soprattutto quelle della compostezza morale, per cui la ‘femmina’ non può ridere per strada, altrimenti sarebbe identificata come una puttana, deve ‘vigilare’ la casa e le sue figlie, impedendo anche a loro di non uscire.
Dopo un inutile ‘passaggio a Sud’, Fortunato abbandonerà di nuovo la terra natia, per cercar fortuna all'estero. Lascerà la moglie e le due figlie in balia delle dicerie e dei pettegolezzi del paese, sempre più insopportabili, tanto da far ammalare la giovane Màrja. Ricoverata per cure mentali, anche lei lascerà le bambine in balia dei nonni, fra tutti, i più invadenti e di un conservatorismo tipico delle famiglie del Meridione.
Vaghi saranno i tentativi di ricongiungimento della famiglia, che affronta il viaggio di ritorno in Finlandia dai nonni materni, per poi fare subito ritorno lì dov’è ormai la loro vita. La maggiorenne Alice, tenterà di mantenere vivo il ‘cordone ombellicale’ con la terra d’origine, attraverso la corrispondenza con la nonna; un filo di speranza esile e quasi impossibile, che si spezza prestissimo con la morte della nonna fino all’’immersione’ totale in quel mondo sommerso, alla prova dell’acido, unica possibilità di ‘galleggiare’. L’altra sorella (come quasi tutte le adolescenti della borgata, costrette a reprimere e a vivere la loro condizione di donne nell’harem della famiglia patriarcale e maschilista), rimane in cinta e cresce la figlia, ma ormai di nuova generazione. Che n’è della fuga della madre, invece, se non un misero tentativo di una vita di donna migliore?
Appare chiaro che dietro tutto c’è quel bagaglio personale della Ciccone, di una ‘figlia dei fiori’, che non ha ancora evidentemente liberato la sua rabbia e la voglia di reagire di fronte alla durezza e alla mancanza di libertà. Da subito ci si accorge che s’è di fronte ad un’opera sincera (il film è dedicato alla madre), che non ha grandi pretese, ma vuole soltanto rievocare quelle atmosfere da “Stand by me”, tentando di ripensare ad un mondo che tiene conto dello sguardo femminile e non femminista, oltre che dell’amore materno per una terra, capace ancora di ridestare il sofferto sentimento del Perduto amor.
Giancarlo Visitilli
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