Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
Un uomo, un pianoforte, la Musica. La macchina da presa si muove lentamente attorno al musicista; si avvicina alle sue mani, al suo volto. Poi si allontana focalizzando la sua attenzione su una ingombrante scrivania coperta di fogli, appunti e costellata, ai lati, da almeno otto telefoni posti in due file da quattro. Quell’uomo è Vytautas Landsbergis, presidente lituano, e quei volti umili che si succedono durante una messa cantata sono degli esponenti del popolo baltico. Inquadrature dall’esterno di un edificio; la macchina da presa ci riporta nella stanza con il pianoforte: l’uomo ora scrive, note di lavoro. La telecamera retrocede verso l’uscita, varca la soglia, la porta viene chiusa. Il maestro Sokurov, alla sua sesta Elegia, compone un abbozzo di ritratto, tutt’altro che semplice, di un Paese scosso da importanti cambiamenti (l’imminente distacco dalla morente Unione Sovietica acutizzato dal blocco degli scambi commerciali) e sceglie la rigidezza stilistica, evidenziata anche da un bianco e nero glaciale, per ponderare ancora una volta riguardo il binomio arte-potere e riguardo la loro (possibile?) convivenza.
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