Regia di Sergio Rubini vedi scheda film
Rubini parla a sè stesso di sè stesso: questo è il limite principale - purtroppo insormontabile - di un lavoro che vorrebbe forse accostarsi al capolavoro felliniano 8 e mezzo, ma arriva a malapena a 1 e uno solo: l'attore/regista ed autore di questo film. Per il pubblico c'è 'solamente' un discreto film realizzato con buona mano ed un cast indiscutibile (Bentivoglio, cioè l'alter ego, ma anche la Mezzogiorno, la Buy e Rubini stesso, la Melato in un ruolo marginale e pure Placido in una comparsata...), il cui sentimento alle fondamenta però appare un po' troppo sottile ed evanescente, una sorta di vago richiamo alle proprie radici, alla terra (cui Rubini dedicherà il film successivo, ma che è sempre esplicito richiamo nei suoi lavori), alle origini ed al passato, qualcosa che è già stato insomma usato ed abusato nel cinema, con esiti pure migliori. Il finale non è che un contentino: basta davvero l'abbandono dei progetti, delle idee superficiali, non convincenti, che non ci appartengono, a portarci alla riscoperta di sè stesso e degli altri attorno a noi? Sufficienza striminzita per la buona confezione ed i nobili intenti.
Un attore e regista sulla quarantina ha un improvviso malore che lo costringe in clinica per un lungo periodo di riposo. Nel frattempo fa il punto sulla sua vita, fra colleghi di lavoro, vecchi amici, la ex moglie e la attuale amante, i parenti e tutti i ricordi della terra natale pugliese.
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