Regia di Roger Avary vedi scheda film
Innanzitutto lasciate perdere Brett Easton Ellis: la matrice letteraria di una pellicola cinematografica è di solito troppo ingombrante per fare inutili confronti e, del resto, è giusto che un film viva di vita propria, essendo considerato un'opera a sé stante, con una propria cifra stilistica e uno spessore indipendente dal testo letterario dal quale origina. Questo discorso vale a maggior ragione per un film tratto da uno scrittore come Ellis: i romanzi dell'autore americano e l'impatto che ebbero sulla mia generazione, fatemelo dire con un pizzico di sussiego, possono capirli solo chi ha vissuto gli anni '80 in presa diretta sulla propria pelle e che, nelle storie eccessive e spesso grottesche di Ellis, ha potuto riversare tutto il proprio disagio e la propria insofferenza nei confronti di un decennio vuoto, edonista e spesso crudele. Ma ormai, dall'epoca dell'uscita di libri come "Meno di zero" e "Le regole dell'attrazione", sono passati tanti anni (ben 25... incredibile quanto s'invecchi rapidamente!), sia nella vita che sullo schermo dei cinema, ne abbiamo davvero viste di tutti i colori e la realtà, ormai da un pezzo, ha superato qualsiasi immaginazione. Di conseguenza, chi volete che resti sconvolto, oggi, per le storie dei ragazzi perduti di Ellis, di una gioventù bruciata nel vano tentativo di riempire con sesso, depravazione, droga e violenza l'insostenibile vuoto e la totale assenza di valori e di ideali? Venuto inevitabilmente meno l'impatto, il pugno nello stomaco, il significato "generazionale" dell'opera, resta solo la curiosa testimonianza di un'epoca. Roger Avary, nel portare sullo schermo una materia così scivolosa, deve essersi posto il problema dell'ingombrante matrice letteraria e di tutto il peso del suo significato "storico" e ha tentato, da un lato, di attualizzare la vicenda trasponendola nel presente (i protagonisti utilizzano internet, Sean strimpella alla chitarra un brano dei Counting Crows del 1993 e così via), dall'altro di conservare lo spirito originale dell'opera di Ellis, anche con richiami, piacevoli ma un po' ruffiani, agli anni '80 (ad esempio con la bella colonna sonora di brani dell'epoca). Il risultato è un po' un ibrido che non sconvolge particolarmente da un punto di vista contenutistico ma che convince pienamente da quello formale. Il film di Roger Avary, infatti, visivamente è semplicemente straordinario e girato, immagino, con ossessiva e maniacale cura del dettaglio, tale da trasformare ogni scena, ogni immagine in quadri o fotografie dal fascino iperrealista che si trasforma per paradosso in grottesco. Eccellente il giovane cast: bravissimi Shannyn Sossamon e Ian Somerhalder, convincenti James Van Der Beek e Jessica Biel, che considero dei mediocri attori ma che, forse proprio a causa della loro limitata espressività, riescono bene ad interpretare il vuoto interiore di personaggi allo sbando. Da notare, in ruoli minori, l'ottimo e purtroppo ormai un po' dimenticato Eric Stoltz (già utilizzato da Avary in "Killing Zoe") e una Faye Dunaway estremamente autoironica nell'interpretazione di una sorta di parodia di sé stessa. In definitiva, tentando per l'ennesima volta di dimenticare l'origine letteraria del film di Roger Avary, considero "Le regole dell'attrazione" una pellicola visivamente eccezionale, ma dai contenuti non particolarmente convincenti: peccato solo che il regista americano (già collaboratore di Tarantino per "Le iene" e "Pulp Fiction") sia fin troppo restio a mettersi dietro la macchina da presa e che, nel giro di vent'anni, abbia realizzato solo 3-4 lungometraggi. Voto positivo.
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