Regia di Sergio Castellitto vedi scheda film
Chi ha letto lo struggente romanzo di Margaret Mazzantini, come il sottoscritto, sa bene quanto la voglia di vederlo trasposto al cinema e complessità nel rendere in pellicola le migliaia di sfumature percettibili tra le pagine fossero grandi in eguale misura. Vedendo oggi il film che Sergio Castellitto ha tratto dal libro della moglie (premio strega nel 2002 e vendutissimo ancora oggi), si ha la sensazione netta che la Mazzantini, che pure compare sul finale in un muto cammeo-cornice, col film abbia avuto poco a che fare. Ha collaborato alla sceneggiatura, certo, ma qualcosa del libro è andato evidentemente perduto. Il furore cieco e torbido dell’amore impossibile del chirurgo Timoteo (lo stesso Castellitto, che non si cura più di tanto di dirigere se stesso) per la derelitta Italia - una Penelope Cruz da applauso -, che nel romanzo era narrato e vissuto in prima persona come una necessaria menzogna (Timoteo è infatti sposato con la cinica Elsa, Claudia Gerini), diventa sì una commovente e dolorosa storia d’amore, ma lascia in bocca (cosa che il libro non faceva) il sapore amaro del predominio. Quello di uomo sfuggito ad un passato odioso che, nell’attesa che la figlia incompresa esca illesa dal come che l’ha avvolta dopo quel brutto incidente col motorino, cerca nel casuale adulterio il riscatto come padre e come marito avvolgendosi nello strazio dell’annientamento (e del conseguente inspiegabile innamoramento) di una donna sola, sciatta, senza difese. L’unica capace di accettare tutto perché non ha niente, l’unica in grado di capirlo e di amarlo perché essa stessa incompresa e maltrattata.
Se una cosa, forte, vigorosa, possente c’è nel film di Castellitto è proprio il febbrile ed “eccessivo” rapporto che Timoteo intesse con Italia, con il suo mondo, fatto di vestiti umili e improbabili, di fragili equilibri, di sesso umido e malato, di canzonette, di lacrime e sorrisi. Quello che manca, semmai, è l’indagamento psicologico delle scelte di un uomo tanto vile e debole come uno di noi, un uomo che agisce capriccioso senza riflettere, che mette incinta moglie e amante ma non si fa lo scrupolo (come sarebbe normale) dell’aborto, che a furia di praticare anestesie e frequentare sale operatorie è diventato algido e asettico. Relegando, ed è un peccato, il personaggio della moglie Elsa sullo sfondo. Non ti muovere “film” commuove, stordisce, intirizzisce tanto è sgradevole, ma poi si accomoda prima dei titoli di coda sulla sedia, ormai vuota, su cui l’anima di Italia ha vegliato piena di perdono, e si esce dalla sala sconfitti ma confortati. Sacrosanto, e in fin dei conti necessario. Non ti muovere libro ti rimane addosso per parecchi giorni dopo averlo letto, come un senso di colpa. Ma Castellitto c’è l’ha messa veramente tutta, si intuisce da ogni singola, intensa scena. E’ un film più vissuto che girato: e per questo, è degno di tutto rispetto.
Francesco de Belvis
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