Regia di Louis Feuillade vedi scheda film
Irma Vep e la sua banda trascorrono tutto il tempo a escogitare sempre nuovi espedienti per destabilizzare la società e sovvertire l’ordine costituito. Sono le ombre che si annidano fra il luccichio della modernità e del progresso. Sono i fantasmi che turbano le coscienze borghesi degli spettatori e continuano a ossessionarli all’uscita della sala.
"È priva di morale… e che problema c'è?", chiede Maggie Cheung in Irma Vep (2006) di Olivier Assayas. Il riferimento è, naturalmente, al personaggio scolpito da Musidora novant'anni prima, nei Vampires (1915) di Louis Feuillade. Musidora compare solo all’inizio del terzo episodio, Le cryptogramme rouge, annunciata su un manifesto di café-chantant che ne ritrae le sembianze stilizzate. Allo sguardo sospettoso del protagonista, il giornalista Philippe Guérande, le lettere maiuscole che formano il nome della vedette della serata, IRMA VEP, si animano e, danzando davanti ai nostri occhi, si ricompongono magicamente nell’anagramma VAMPIRE. Poi, tanto per non lasciare nell’ambiguità neanche lo spettatore più sprovveduto, si rimescolano ricreando il nome della cantante. All’interno, Musidora/Irma è già sul palco. Feuillade ce la introduce attraverso un piano americano che, attraverso il trucco e l’espressione del viso, la apparenta a una belva selvaggia.
L’immagine, ingenua quanto si vuole, aspira a un effetto di tremebonda seduzione. L'iconografia è quella delle vamp del periodo: occhi accalamarati, ghigno sardonico, denti digrignati, capello scarmigliato. Irma Vep appare così, un diavolo di Tasmania in agguato per ghermire la preda con un balzo al momento opportuno. Ci guarda in faccia, Irma Vep, ma con uno scatto dirige le pupille a destra come un felino attento ai rumori del sottobosco, al frusciare delle foglie al vento, a un pericolo nell’ombra, prima di riportarle su di noi, voltare lo sguardo sull’altro lato delle quinte e concludere la sua performance tra uno scroscio di applausi.
Pochi secondi in tutto, ma il personaggio si imprime indelebile nel DNA dello spettatore. Pochi secondi, ma sufficienti per farci capire che non di una ennesima vamp in salsa francese si tratta, non di un’altra femme fatale dall’appetito sessuale incontrollato, ma di un essere che condisce tutto ciò con perversione criminale, il che ne accentua vieppiù il carattere trasgressivo e antisociale.
Finito lo spettacolo, Irma e gli altri vampiri si ritrovano nel sottoscala del café-chantant ad assistere a una danza apache. Irma non è più al centro della scena, ma seduta all’estrema sinistra dell’inquadratura. Osserva, spettatrice tra gli altri spettatori, le evoluzioni dei ballerini. E, non più vamp, lo fa quasi con spontanea curiosità e con quella misura che costituisce il secondo tratto caratteristico della sua recitazione, oltre che in generale la forza evocativa del serial di Feuillade. Irma è l’ispiratrice dei vampiri e capace di azioni tra le più nefande senza un battito di ciglio, si muove nelle lugubri periferie parigine o nelle dimore altolocate delle sue vittime con naturalezza e economia di mezzi espressivi. Uno sguardo in tralice per un’idea malvagia che le attraversa la mente, un sollevare di ciglia per un’illuminazione improvvisa (plop!, sembra quasi di vedere la lampadina che si accende sulla testa come nei fumetti di Paperino) o per accentuare l’effetto sorpresa di un rivolgimento insospettato. Una sobrietà di movenze che solo contrasta con il luccicare maligno degli occhi.
Se Theda Bara e Louise Brooks si ricordano soprattutto per la forza delle loro immagini, così come traspaiono dalle fotografie prima ancora che dai film, Musidora si è fatta strada nell’immaginario di chi non ne ha mai visto i film per la dimensione simbolica associata al suo personaggio. Irma Vep e la sua banda trascorrono tutto il loro tempo a escogitare sempre nuovi espedienti per destabilizzare la società e sovvertirne l’ordine costituito. Sono le ombre che si annidano fra il luccichio della modernità e del progresso. Sono i fantasmi che turbano le coscienze borghesi degli spettatori e continuano a ossessionarli all’uscita della sala. Non è un caso che André Breton e Louis Aragon, due campioni del surrealismo in preda al fascino eversivo di Irma e la sua banda, così si esprimessero: “È nei Vampires che si devono cercare le grandi realtà di questo secolo. Al di là della moda. Al di là del gusto corrente”.
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