Regia di Frederick Wiseman vedi scheda film
Non mostri criminali, bensì uomini bisognosi di cure. La cinepresa di Frederick Wiseman oltrepassa la pareti di un manicomio giudiziario per scoprire che, dietro al velo del tabù sociale più buio e severo, non c'è nulla che possa dare scandalo o suscitar paura. Tra le celle e i corridoi non si aggira lo spettro demoniaco del male senza perdono né riscatto, bensì l'anima angelica di una pietosa dignità. Definitiva è solo la condanna della malattia inguaribile: è l'eterna segregazione dagli affetti personali e dalla normalità del mondo, e non la fiamma dell'inferno, la minaccia estrema che lambisce quelle povere esistenze. La violenza è solo l'accento occasionale e solitario di una rabbia disperata, perché mai compresa. I presunti connotati dell'orrore sono, in realtà, le immagini compassionevoli di una tragedia affidata a mani amorose ma impotenti: la nudità è una necessità igienica, l'isolamento in celle spoglie una indispensabile norma di sicurezza. In questa cornice umanamente innocua, ma infinitamente desolata, la provocazione non risiede dunque nel coraggio di filmare, bensì nella naturalezza con cui i degenti si mostrano allo sguardo estraneo, mentre vivono, si esprimono, e si lasciano accudire. "Titicut Follies" è uno straordinario documento sul decoro della verità, una testimonianza super partes che prova, in modo insolitamente disarmante, come l'osceno esista solo nell'occhio di chi non vuol vedere.
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