Regia di Kevin Costner vedi scheda film
Kevin Costner ha ancora cavalli freschi per cavalcare nel suo West e sfidare fino all’ultimo colpo di pistola il padrone del villaggio di frontiera nei pressi del quale si ferma insieme ad altri cowboy per colpa di un temporale. Attraverso il suo Charley, con un passato violento da riscattare, si ribella alle nuove leggi, ai recinti, al filo spinato, alla perdita del diritto di pascolo, allo sceriffo corrotto. Ostacoli che chiudono l’epopea della corsa verso le nuove terre e il nuovo uomo americano. Le belle storie e le leggende antiche non stancano mai e chiedono di essere raccontate ancora una volta, anche se nessuno è più ingenuo o ammaliato dall’ideologia o incalzato dallo stimolo della revisione storica e cinematografica. L’attore, regista e produttore (tre responsabilità per guadagnarsi un’autonomia dalle logiche degli studios) è il primo a sapere che le acque del fiume rosso non sono più limpide e non tracciano più il valico tra natura e cultura, mondo selvaggio dominato dalla forza e dal coraggio e mondo civilizzato regolato dai codici scritti. Le donne come Sue (Annette Bening) aspettano il principe azzurro, pretendono una storia d’amore e non vogliono più rimanere sull’aia o sulla porta delle case di legno mentre i cavalieri si allontanano in campo lungo nelle valli solitarie. La tradizione orale, i dipinti, le ballate sono materie da libro scolastico e da cineteca. L’amicizia virile, la fedeltà, la saggezza dei vecchi (messa in sella e intorno al fuoco del bivacco da un eccellente Robert Duvall) non sono anacronistiche. Terra di confine rifiuta, con sano fastidio, la rilettura modaiola dei generi classici in cui vaccari, pistoleri, poliziotti, vampiri, licantropi, marziani, scienziati, psicopatici, dark lady, detective e tutti gli altri personaggi standard dei filoni hanno l’aria da testimonial di un product placement e indossano i personaggi come costumi di scena. È un film che si compiace delle sue lentezze, delle sue pause sui dettagli delle scene e del copione, della pioggia che bagna le praterie, i cappelli, gli uomini e le mandrie, del fango che si attacca agli stivali e che insudicia le gesta di un popolo con una storia breve. Un popolo che al cinema non ha la memoria per cantare gesta cavalleresche o scrivere poemi epici e che guarda in alto, verso il grande cielo, o davanti a sé verso confini inesplorati. Il West di Costner è abitato dai lupi, dagli indiani, dagli ultimi cowboy (possono essere spietati). È una terra dove nessun uomo può dire a un altro uomo che cosa deve fare. Lo hanno spiegato bene Ford e Mann, Boetticher e Hawks.
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