Regia di Lucio Gaudino vedi scheda film
Nel secondo dopoguerra, un paesino della costiera campana. Un giovane carabiniere si mette in testa di rovistare in una serie di strane morti avvenute pochi anni prima: omicidi, suicidi, incidenti. Tutti coperti troppo in fretta dalle autorità dell’epoca. Al centro degli intrighi c’è un albergo, gestito da una famiglia che è un vero nido di vipere, su cui troneggia un temibile pater familias (Di Pinto). Il film nasce da un soggetto dell’olmiano Mario Brenta (Maicol, chi se lo ricorda?), sceneggiato da Angelo Pasquini. Probabilmente all’origine c’era anche qualche intenzione metaforica, come scavo doloroso nella memoria all’indomani del fascismo. Lucio Gaudino (Prime luci dell’alba) gira con eleganza, con un accurato uso della fotografia e una ricostruzione d’epoca sobria pur nei limiti di una produzione non costosa. Un po’ incongruo invece l’uso delle musiche (pleonastiche o anacronistiche). Rinuncia alla suspence, anche perché il succo della storia è in fondo chiaro quasi subito. Gioca un po’ troppo con gli andirivieni temporali e con i silenzi, più che altro illustra con eleganza e dirige bene gli attori. Si apprezza se non altro il tentativo di un film d’atmosfera, non troppo “spiegato”, ma alla fine manca l’emozione vera.
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