Regia di Dziga Vertov, Mikhail Ciaureli, Sergej Gerassimov vedi scheda film
Tronfio e retorico come si addice ad un film di propaganda politica quale questo è, "Il grande addio", realizzato da alcuni ottimi registi sovietici su impulso del regime, offre alcuni spunti di riflessione. Il primo è che il talento dei registi è sprecato e svilito nell'adesione ai canoni di un realismo socialista che è più realista del re e del regime, enfatizzato dalla voce fuori campo che scandisce slogan che spingono spesso alla risata (quando i bambini sfilano accanto al feretro, Stalin viene definito "il geniale artefice della loro infanzia felice" e così via). Un altro spunto viene dal soffermarsi a vedere i personaggi e i luoghi immortalati sulla pellicola: il segretario del PCUS che apre la cerimonia funebre è quel Krusciov che appena tre anni dopo denuncerà le atrocità del "genio che ha applicato le teorie di Marx"; il secondo a parlare, intabarrato in un cappotto che lo rassomiglia ad un cartone animato, è quel Lavrentij Berija del quale si cercherà per tutti gli anni cinquanta e Sessanta di far sparire ogni traccia e memoria; le piazze a lutto di Budapest e di Praga sono quelle che vedranno la repressione sovietica del '56 e del '68; "l'incrollabile amicizia con la Cina" vacillerà pericolosamente sulle rive del fiume Ussuri e così via. Durante il funerale, l'unico dirigente comunista veramente commosso sembra il vecchio Molotov. Nonostante ciò, in alcuni momenti il film riesce nell'intento del colpire lo spettatore, con lo spettacolo delle file chilometriche di persone (come se ne sono viste di recente per i funerali di papa Wojtyla), spesso in lacrime, che vogliono rendere omaggio al "piccolo padre": l'impasto tra immagini (a colori: ma Tirana è incredibilmente in bianco e nero anche qui), commento vocale e musica sa essere propagandisticamente efficace.
La morte di Stalin ed i suoi funerali.
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