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Le zébre

Regia di Jean Poiret vedi scheda film

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La recensione su Le zébre

di hupp2000
8 stelle

In una ricca cittadina della provincia francese, Hippolyte (Thierry Lhermitte) è un notaio a dir poco anticonformista. Da 15 anni è sposato con Camille (Caroline Cellier), insegnante di lettere. Temendo in maniera ossessiva che con il passare del tempo il fuoco della passione possa affievolirsi come avviene nella maggior parte dei matrimoni, il Nostro mette in scena scherzi e situazioni imbarazzanti in luoghi pubblici, negli incontri con gli amici, per la strada. Fa “le zèbre” del titolo, espressione più o meno corrispondente all’italiano “buffone”, anzi “cazzaro”. La moglie è sempre più preoccupata dal crescendo delle trovate del marito, che arriva fino a farla cadere nella trappola di consumare un tradimento con un misterioso spasimante, autore di focose lettere anonime, che si rivelerà essere lo stesso marito. Esasperata, Camille lo lascia. Torna solo quando Hippolyte viene colpito da un infarto, ma le sorprese non sono finite. Il finale lascia ancor più l’amaro in bocca considerando che questo è l’unico film diretto da Jean Poiret, l’indimenticabile “Inspecteur Lavardin” di Claude Chabrol e il coprotagonista teatrale per anni di Michel Serrault in “La cage aux folles” (“Il vizietto”, per intenderci), dove interpretava quello che sarà il ruolo di Ugo Tognazzi nel film-cult di Edouard Molinaro (1978). Il regista non ha mai saputo che la sua unica opera attirò nelle sale quasi due milioni di spettatori. Morì d’infarto (!) tre mesi prima dell’uscita del film nelle sale. Si tratta comunque di una vivace commedia senza grandi pretese, il tipico “cinéma de boulevard” dal ritmo sostenuto, leggermente grottesco. Thierry Lhermitte si presta con brio a fungere da alter ego dell’autore. Nei suoi molto godibili monologhi come nelle brevi e fulminanti battute se ne riconosce lo spirito umoristico e se ne risente la voce. Brillante e credibile la parte elegantemente indossata da Caroline Cellier, esasperata ma altrettanto innamorata di un pazzo, colpito da grave sindrome di Peter Pan. Assegno quattro stelle al film più per quello che c’è dietro che per il suo valore cinematografico.

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