Regia di Vasiliy Shukshin vedi scheda film
Šukšin morì d'infarto nel 1974, a 45 anni, dopo avere diretto questo "Viburno rosso", che ci mostra una Unione Sovietica inedita, minore, lontana mille miglia dai santini e dagli eroi narrati dal realismo socialista e dal cinema bellico dell'epoca staliniana, tanto che c'è da meravigliarsi che in pieno periodo brezneviano un film del genere si sia potuto realizzare e mettere in circolazione.
"Viburno rosso", ultimo film diretto da Šukšin, è la storia di un disadattato, Egor, che, uscito di prigione, non sa riconvertirsi a persona per bene, nonostante l'amore di una contadina che gli ha scritto durante gli anni della sua detenzione e l'affetto del fratello di lei, che vede in Egor una persona diversa da lui, ma leale e per questo degna di rispetto. Egor, invece, sembra non riuscire a captare l'affetto che gli viene tributato forse anche oltre i suoi meriti, alla fine anche dal vecchio padre di Lyuba, e quando, forse, si schiude un avvenire se non di felicità, di serenità, il suo turbolento passato di malavitoso tornerà a precludergli ogni speranza di una vita diversa. Egor muore senza aver riabbracciato la vecchia madre che lo aspetta da vent'anni, ma muore abbracciato a uno dei suoi amati alberi con i quali andava spesso a parlare e che tinge del rosso del proprio sangue. Egor muore nella terra nella quale era nato, a contatto con l'amata natura (e canta anche una canzone con il titolo del film, dedicata a un arbusto floreale): non a caso rifiuta di fare da autista a un magistrato, preferendo lavorare nei campi come trattorista.
A parte il regista - protagonista, è molto brava la moglie Lidija Fedoseyeva, che interpreta la sfortunata Lyuba.
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