Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
Trasposizione filmica del romanzo di Dostojevskij nel Giappone del dopoguerra, è uno dei film meno compresi di Kurosawa, accusato da alcuni di essere "troppo letterario e didascalico, e patisce un'impostazione spesso teatrale" (Mereghetti). In realtà è un'opera dal disegno registico ampio e complesso e con uno stile sobrio e depurato, centrato sull'essenziale per cogliere la verità interiore e le emozioni dei personaggi. Come nel successivo "Vivere" abbiamo a che fare con un'opera eccezionalmente generosa e traboccante di umori, che ci propone il ritratto sconvolgente di un uomo, Kameda, traumatizzato dal fatto di essere finito davanti al plotone di esecuzione durante la guerra e in seguito affetto da crisi di demenza epilettica, ma comunque animato da nobili ideali e dal desiderio di aiutare il prossimo senza secondi fini. Impressionante l'interpretazione di Masayuki Mori in una delle migliori performance d'attore della storia del cinema giapponese, ottimo anche Toshiro Mifune (leggermente in ombra) e la dark lady Taeko Nasu di Setsuko Hara, molto distante dalle eroine interpretate per Ozu. Geniale l'intuizione di rievocare la mancata fucilazione con un flashback unicamente sonoro; il ritmo è più lento e la macchina da presa più statica rispetto ad altre opere del regista, ma il risultato è ugualmente potente. Visto in edizione originale della durata di 2H 45' trasmessa su Rai sat cinema. Purtroppo massacrato dai tagli, un po' come "L'orgoglio degli Amberson" di Orson Welles, risulta inevitabilmente lacunoso e a tratti ci sono delle didascalie che cercano di sopperire alle scene mancanti... questo probabilmente gli impedisce di essere quel capolavoro che alcuni vorrebbero, ma resta un'opera di forte impatto emotivo nel trasporre il misticismo dello scrittore russo sullo schermo.
voto 8/10
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