Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
Ci vuole un genio del cinema come Kurosawa per rendere visibile la profondità interiore, trasformandola in una sorta di emanazione calda e vibrante, una forza magnetica che attrae e respinge a seconda delle circostanze. Il protagonista è circondato da un magia semplice, ma sovrumana nella sua imperturbabile ed incondizionata generosità; lo choc di essere stato graziato pochi istanti prima dell’esecuzione è come un grido di gioia represso che si è sublimato in un perenne, serafico incanto. La sua idiozia non è null’altro che la pace con se stessi e con il prossimo, ed il rifiuto dei meccanismi della competizione e della corsa al successo. La donna per lui non è né oggetto di baratto né traguardo di conquista, bensì una persona da adorare e coprire di cure ed attenzioni. Quest’approccio romantico ed ingenuo all’amore è un frammento di assoluto, in cui il melodramma si incrocia con la favola ed il dramma a sfondo morale.
Il vero tema del film è la sensibilità: la storia si trascina come una languida melodia, toccando uno ad uno, e con la massima delicatezza, i tasti delle emozioni umane. Le anime dei personaggi sciorinano con lentezza le inafferrabili sfumature dei loro sentimenti, e i dialoghi, le espressioni e i gesti accompagnano il loro molle andirivieni percorrendo attentamente il ciglio tra impulso passionale e riflessione etica. Le parole percuotono dolcemente l’atmosfera come tintinnii di campanelli o note di un carillon. Il suono, nel complesso, è squisitamente discreto, però anche discontinuo e freddo, perché segue i singoli, sporadici palpiti dell’essere.
Questo film, più che il racconto di una storia, è la sua chiosa; è il profluvio delle annotazioni in calce che spezza e dilata il corso della narrazione, commentando ogni istante con i desideri, le paure, gli slanci e le avversioni che investono momentaneamente il cuore.
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