Regia di Aldo Fabrizi vedi scheda film
Al termine della guerra, consacrato ormai anche al cinema (Roma città aperta, 1945, ma anche pellicole più 'leggere' con Mattoli, Bonnard, Zampa), Aldo Fabrizi diventa regista e sforna una serie di commediole il cui obiettivo principale è quello di ironizzare garbatamente sull'Italia in contemporaneo travaglio. Questo è il suo terzo titolo - in tre anni - dietro la macchina da presa ed è probabilmente il suo maggior successo da regista, tanto che l'anno seguente si convincerà a fare un seguito (La famiglia Passaguai fa fortuna); Fabrizi è anche protagonista, mattatore indiscusso nel film e giustamente, visto che il suo nome era già di per sè una garanzia al botteghino. Al suo fianco la grande Ave Ninchi, spalla per tutta la vita e spesso proprio di Fabrizi, e uno stuolo di comprimari non trascurabili come Tino Scotti, Peppino De Filippo, Giovanna Ralli e il quindicenne, ma già riconoscibilissimo, Carletto Delle Piane. I limiti di una pellicola di questo tipo sono evidentemente da ritrovare nella scarsa consistenza della storia, finalizzata alla gag e alla risata piuttosto che alla riflessione (cui non sarebbe neppure estranea una vicenda come questa); d'altronde erano quelli, per il nostro cinema, gli anni dell'impegnato (e impegnativo) neorealismo, dal quale emergerà piano piano, anche grazie a lavori come questo, la più spensierata - e perciò in linea con l'aria che si respirava nel Paese - commedia popolare-rosa in stile Pane, amore e fantasia (Comencini, 1953) e Poveri ma belli (Risi, 1956). Sceneggiatura di Fabrizi, Maccari e Mario Amendola, fotografia di Mario Bava. 5/10.
La famiglia Passaguai va al mare: padre, madre, figlia grande e figlio piccolo. Marito e moglie non fanno che litigare: lei è gelosissima e vede intrighi ovunque; inoltre la figlia ha uno spasimante che la segue e il cognome della famiglia si rivelerà ovviamente profetico...
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